Scrivere di un film come “La La Land” è una responsabilità non da poco. O perlomeno lo è se hai intenzione di farlo in maniera fedele, empatica, buttandoci dentro tutto ciò che hai sentito, provato, trattenuto e liberato durante le due ore abbondanti di proiezione. Quello diretto da Damien Chazelle più che un musical è un pezzo di vita, quella vita piena di sogni, piena di speranze, che quando sei giovane sentire alla portata è quasi un diritto, così come lo è il far di tutto per proteggerla dal cinismo e dalla piatta realtà alternativa: che dall'altra parte provano a schiaffeggiarti, a suggerirti di crescere, di smetterla di opporre resistenza, mentre tu, sei lì, impavido, che non gli dai retta perché dentro sai benissimo che ciò che stai inseguendo è solamente l’unico scenario di vita possibile in cui riesci a vederti.
Una follia e un romanticismo che giustamente “La La Land” ingloba fin dentro le sue ossa, in quei scenari magici di Los Angeles in cui si balla, si canta e dove in un battito di ciglia si può cambiare completamente luce, ambiente e colori. Del resto non c’è luogo migliore della città di stelle per raccontare la magnifica storia d’amore tra Mia e Sebastian: due anime in crisi, forse destinate a prendersi per mano, o forse unite esclusivamente dalle ambizioni comuni, chissà. Sta di fatto che sembrano davvero nati per stare insieme i due, per spalleggiarsi a vicenda, per reagire a quel mondo che - parafrasando una battuta di Ryan Gosling - ti chiude all'angolo e ti prende a pugni continuamente, in attesa che tu decida se reagire oppure gettare la spugna e andare ko. Così, una volta superati gli attriti, quelle insolenze un po’ gratuite scambiate in un paio di occasioni, Mia e Sebastian decidono che indossare i guantoni insieme è più semplice che da soli, che prendere coraggio e buttarsi è l’unico modo per provare a conquistare ciò che vogliono, potenziati da un amore vero, puro e sincero che bello così e dolce così, probabilmente ce l’hanno solo loro, ed è una forza micidiale capace di renderli invincibili, abili di qualsiasi cosa.
Questo almeno in prima battuta.
Perché “La La Land” non è solo il trionfo della felicità, dei sognatori, della potenza dell’amore che quando c’è fa vorticare ciò che abbiamo intorno rendendo all'improvviso tutto possibile e meno grigio. Quello di Chazelle è un film che come è in grado di spiccare il volo, allo stesso modo sa scendere coi piedi per terra, rendersi conto di una perfezione effettiva non raggiungibile e di quella punta di amaro che inevitabilmente, anche nella vita della persona più fortunata al mondo, esiste e non smette (forse) mai di sussurrare all'orecchio il suo verbo. Perciò con la stessa bravura disarmante con cui è bravo a strapparci sorrisi, risate e a farci brillare gli occhi, il regista dimostra di essere altrettanto capace ad usare il bastone, di non voler realizzare un’opera destinata ad esistere a gravità zero e basta, ma qualcosa di assai più grande, di enorme, con la quale chiunque può entrare in contatto e venire letteralmente scosso, ribaltato, devastato emotivamente.
Ciò succede precisamente in un finale sublime, dove “La La Land” non sbaglia neppure una virgola e mette in canna due sequenze stratosferiche, micidiali, che consentono a Chazelle di portare a casa una risoluzione impeccabile, da brividi e stracolma di lacrime (con una Emma Stone straripante e assoluta protagonista). Un colpo da maestro che funge da ciliegina sulla torta per consacrare la sua opera a capolavoro del genere, un capolavoro che peraltro porta con sé propositi rivoluzionari, di stampo moderno, decisamente espugnati.
Ma come detto in precedenza: scrivere di un film come “La La Land” è una responsabilità non da poco, o perlomeno lo è se hai intenzione di farlo in maniera fedele, empatica, buttandoci dentro tutto ciò che hai sentito, provato, trattenuto e liberato durante le due ore abbondanti di proiezione.
Cosa che, sinceramente, io ho anche provato a fare, fermo restando che quando ci sono di mezzo i sogni, il romanticismo e la pazzia, come in questo caso, il rischio è sempre quello di non essere mai troppo accurati e di aver dimenticato qualcosa. Perché, appunto, i sogni, il romanticismo e la pazzia, da che mondo è mondo, sono esperienze che vanno vissute in prima persona, provate sulla pelle, ascoltate emotivamente e non raccontate a parole da qualcun altro che ha avuto la fortuna di poterlo fare al posto vostro.
Una follia e un romanticismo che giustamente “La La Land” ingloba fin dentro le sue ossa, in quei scenari magici di Los Angeles in cui si balla, si canta e dove in un battito di ciglia si può cambiare completamente luce, ambiente e colori. Del resto non c’è luogo migliore della città di stelle per raccontare la magnifica storia d’amore tra Mia e Sebastian: due anime in crisi, forse destinate a prendersi per mano, o forse unite esclusivamente dalle ambizioni comuni, chissà. Sta di fatto che sembrano davvero nati per stare insieme i due, per spalleggiarsi a vicenda, per reagire a quel mondo che - parafrasando una battuta di Ryan Gosling - ti chiude all'angolo e ti prende a pugni continuamente, in attesa che tu decida se reagire oppure gettare la spugna e andare ko. Così, una volta superati gli attriti, quelle insolenze un po’ gratuite scambiate in un paio di occasioni, Mia e Sebastian decidono che indossare i guantoni insieme è più semplice che da soli, che prendere coraggio e buttarsi è l’unico modo per provare a conquistare ciò che vogliono, potenziati da un amore vero, puro e sincero che bello così e dolce così, probabilmente ce l’hanno solo loro, ed è una forza micidiale capace di renderli invincibili, abili di qualsiasi cosa.
Questo almeno in prima battuta.

Ciò succede precisamente in un finale sublime, dove “La La Land” non sbaglia neppure una virgola e mette in canna due sequenze stratosferiche, micidiali, che consentono a Chazelle di portare a casa una risoluzione impeccabile, da brividi e stracolma di lacrime (con una Emma Stone straripante e assoluta protagonista). Un colpo da maestro che funge da ciliegina sulla torta per consacrare la sua opera a capolavoro del genere, un capolavoro che peraltro porta con sé propositi rivoluzionari, di stampo moderno, decisamente espugnati.
Ma come detto in precedenza: scrivere di un film come “La La Land” è una responsabilità non da poco, o perlomeno lo è se hai intenzione di farlo in maniera fedele, empatica, buttandoci dentro tutto ciò che hai sentito, provato, trattenuto e liberato durante le due ore abbondanti di proiezione.
Cosa che, sinceramente, io ho anche provato a fare, fermo restando che quando ci sono di mezzo i sogni, il romanticismo e la pazzia, come in questo caso, il rischio è sempre quello di non essere mai troppo accurati e di aver dimenticato qualcosa. Perché, appunto, i sogni, il romanticismo e la pazzia, da che mondo è mondo, sono esperienze che vanno vissute in prima persona, provate sulla pelle, ascoltate emotivamente e non raccontate a parole da qualcun altro che ha avuto la fortuna di poterlo fare al posto vostro.
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