A Beautiful Day: You Were Never Really Here - La Recensione

A Beautiful Day Phoenix
Suoni fastidiosi, spaesanti.
Rumori urbani miscelati a una musica in sottofondo, disturbante e caotica, alla quale vanno a intervallarsi piani strettissimi e dettagli appartenenti a un uomo non riconoscibile. Un uomo, però, che intuiamo fresco di violenza commessa, tormentato: e a segnalarcelo sono un martello sporco di sangue pulito sotto l’acqua e i flashback fulminanti, montati a schiaffo, di un bambino che cerca di forgiarsi respirando con la testa avvolta in un sacchetto di plastica.

Un disordine scenico volontario che serve alla regista Lynne Ramsay per farci capire evocativamente che quell'uomo - che solo dopo qualche minuto capiremo trattarsi di Joaquin Phoenix – sta facendo a botte con un passato tutt'altro che semplice, un passato lontano che lo tortura e lo angoscia e che solo a tempo debito verrà relativamente svelato nelle sue pieghe, consentendo a noi una visione a fuoco del quadro generale. A fuoco, poi, per modo di dire perché "A Beautiful Day: You Were Never Really Here" non è una di quelle opere - se non fosse ancora abbastanza chiaro - a cui interessa mettere a proprio agio lo spettatore, non intende rassicurarlo fornendogli tutte le informazioni del caso, perché ciò che conta - filosoficamente parlando, alla fine - è sempre tentare di capire se possiamo convivere o meno coi mostri che la vita ha deciso di metterci sulle spalle, se dentro di noi abbiamo la forza di guardarli in faccia e affrontarli, oppure se è arrivato il momento di smettere di trascinarsi, lasciandosi prendere. Allora che il personaggio di Phoenix - prima di fare il sicario e andare in giro a sventare violenze sui/sulle minorenni - sia stato un combattente veterano, ex agente dell'FBI, dobbiamo leggerlo fra le righe: fra le poche concesse narrativamente a riguardo dalla Ramsay o, in alternativa, dalle più esplicative poste all'interno del racconto omonimo di Jonathan Ames, da cui il suo lavoro prende spunto (ma che bisogna anche conoscere e avere letto).

A Beautiful Day FilmPerché non è questo, in fondo, che importa.
Ciò che importa è il legame istantaneo che sboccia tra il suo Joe e la ragazzina Nina, i colpi di scena che si susseguono dopo il salvataggio di quest’ultima, e quella sensazione, provata dai due, di sentirsi improvvisamente tanto diversi, eppure perfettamente speculari nella sofferenza. Le cicatrici visibili e invisibili, gli shock, la solitudine; due storie diverse, le loro, che conducono però al medesimo capolinea: laddove tutta la fatica potrebbe facilmente trovare arresto in un istante, o contemporaneamente essere ignorata e messa da parte tramite la leggerezza e la fiducia tipica che solo una fresca adolescente, forse, può provare nei confronti di una bellissima giornata di sole. Quel sole che per uscire e farsi vivo, tuttavia, deve passare attraverso la tempesta e i lampi di una guerra metropolitana senza esclusione di colpi, uno scontro aggressivo e spietato nel quale la pellicola fa esplodere i suoi interi muscoli, pompando adrenalina e rinforzando il ritmo: e azzeccando, così, parentesi di portentoso cinema da degustare.

Un po' "Drive" - per l'estetica e i traboccanti riferimenti - e un po' "Taxi Driver" (come esagerando indica la locandina nostrana) - per via una tematica parzialmente condivisa - insomma. Questo sebbene, la cosa che maggiormente ci sta a cuore di "A Beautiful Day: You Were Never Really Here" è che la Ramsey sia tornata a farsi viva e a mostrare il suo straordinario talento, entrato in pausa dal bellissimo "E Ora Parliamo Di Kevin", ingiustamente dimenticato e passato sotto traccia. Un film che già annunciava l'identità di una regista da tenere d'occhio e che speriamo, ora, possa continuare a esprimersi e a prosperare con pause un pizzico meno lunghe.

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