On Subway. Racconto Di Uno Strano Incontro

Metropolitana Roma

Ero in metro. 
Stavo tornando a casa da un pomeriggio passato al cinema. 
Come mi capita spesso, ingannavo il tempo leggendo un libro. 
Quel libro era “On Writing. Autobiografia di un mestiere”. Di Stephen King
Lo avevo acquistato con la curiosità – e il desiderio – di intercettare (e “rubare”) qualche consiglio o trucco a uno degli scrittori che più amo e che più sa sconvolgermi.
Quindi, va da sé, che fossi piuttosto preso e concentrato.
Abbastanza almeno da non accorgermi che un uomo, seduto di fronte a me, nel vagone, mi stava fissando.

Parlava con una donna – la sua compagna, credo – ma mentre lo faceva, il suo sguardo mi puntava.
E lo dico, non perché me ne fossi accorto – come ho già accennato, ero preso dalla lettura – ma perché certe cose, a volte, riesci a sentirle.
Ti entrano sottopelle. 
Sarà per questo, forse, che usiamo l’espressione: “Sentirsi osservati”. 
Perché non serve vederlo, ti ci senti e basta.
E io mi ci sentivo, eccome, osservato.
Ma stavo anche leggendo King, quindi la suggestione poteva essere parte dell’esperienza, e non mi sembrava il caso di interrompere la lettura per verificare. 
Almeno finché non è arrivato il momento di scendere alla mia fermata. 

 “Termini”, avvisava la voce dagli altoparlanti. 
E con me, a Termini, si apprestava a scendere, come al solito, pure un sacco di altra gente. 
Tra cui anche quell’uomo e la sua – possibile – compagna. 
Entrambi ci spostavamo verso l’uscita. 
Io avevo chiuso temporaneamente il libro per essere pronto a orientarmi nel labirinto che è la stazione. 
 Ma appena le porte si aprono, tra il via vai generale dell'esodo, una voce mi fa: “Beh, com’è il libro?! Ti sta piacendo?”. 
Al che io mi giro e lo vedo. 
Anzi, li vedo: lui e lei. 
Lei (mi?) sorride. Lui idem. 
Sorpreso dal momento, fatico a realizzare il nesso della domanda e mi esce solo un: “Eh?”. 
Poi faccio mente locale e mi riprendo al volo: “Ah, sì, bello! Molto bello!”. 
E lui, allora, aggiunge: “Quel libro è un capolavoro, l’ho letto anni fa. Ma se sei amante della scrittura e di King, quando hai finito, leggiti anche Mucchio D’Ossa. Vedrai che non te ne pentirai!”.
Dopodiché mi salutano entrambi e scompaiono tra la folla, lasciandomi stordito a metabolizzare quanto appena successo.

Ora, è passato circa un anno da quel giorno, ma quel consiglio io non l’ho dimenticato (me lo sono appuntato).
E non tanto perché mi fidassi di quell'uomo: l’ho incontrato una volta, non ho idea di chi fosse e, probabilmente, non lo rivedrò mai più.
Ma perché, io, quando accadono certe cose – che ritengo straordinarie e che, nella maggior parte dei casi, è più facile ritrovare nella finzione che vivere davvero – non ci riesco ad archiviarle facilmente.
E così, Mucchio D’Ossa, alla fine l'ho comprato. 

Mucchio D'Ossa King

Non l’ho ancora iniziato, quindi non so se mi piacerà, oppure no.
Se c’è davvero un motivo per cui mi ritrovo con questo libro tra le mani, o se quel motivo l’ho semplicemente inventato io per colmare un bisogno, o chissà cosa.
Ma la certezza è che sulla mia strada (di lettore), quel giorno, si è palesato uno strano invito. 
Uno di quelli dai quali, personalmente, non me la sono sentita di sottrarmi.
E sono sicuro che Stephen King, al posto mio, avrebbe (re)agito allo stesso modo.
Con la sola differenza che su questa storia, magari, lui ci avrebbe scritto un romanzo di 600 pagine, mentre io, ahimè, un post di neanche 2.

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