Un Conclave di Stupidi Pensieri (potrebbe contenere idee cattive, sconclusionate e non condivisibili)

Conclave Film

Me lo stavo chiedendo da ieri sera: "Ma vale davvero la pena scrivere una recensione su "Conclave"?".
Adeguarsi, accodarsi e dire sul film praticamente quello che dirà la maggior parte della gente?
Ma anche se la mia opinione andasse controcorrente, facessi il Bastian contrario.
Varrebbe la pena?
Secondo me no.

Però, forse, vale la pena fare un altro tipo di discorso. Immaginare cosa poteva essere "Conclave" se fosse stato un film meno rigido, canonico, statico. Se fosse stato un altro film, insomma. Non costretto a prendersi troppo sul serio. Il che non è un difetto, ci mancherebbe. Uno, perché è tratto dal romanzo di Robert Harris, e quindi aveva il dovere di rispettarne il tono, lo spirito, la forma. E due perché l'argomento di cui tratta - la successione di un papa e i giochi di potere che questa comporta, compresa la linea politica che una nuova elezione si porterebbe dietro - è assai delicato e a suo modo affascinante, specialmente per coloro che vivono con passione la realtà e l'ambiente ecclesiastico, che credono e seguono da vicino la religione e gli uomini (e le donne) che la rappresentano. Però, almeno per un momento, potrebbe essere curioso provare a immaginare, con un minimo di leggerezza, come sarebbe andata se una storia del genere fosse stata raccontata libera da ogni sovrastruttura, coscienziosità, rischiando di scivolare persino nel cattivo gusto, nell'ipotesi di blasfemia (e quindi attaccata dal pubblico più conservatore, o della Chiesa stessa, magari). Provare a immaginare come sarebbe stata più coinvolgente, originale e divertente se si fosse concessa e abbandonata al lusso della farsa, della pagliacciata (c'erano pure i costumi, in fondo). 
Ecco, diciamo che io, a un certo punto, durante la visione, non sono riuscito a pensare ad altro. Sarà perché ormai mi ero già portato avanti anticipando le svolte della storia, i capovolgimenti, le conclusioni: e non perché mi reputi chissà quale fenomeno, ma semplicemente perché non si poteva andare verso che un'unica direzione. Ed è un po' il motivo principale per cui spesso, al cinema, mi piacerebbe vedere qualcuno prendere un minimo di coraggio, lasciarsi andare a uno strappo, uscire fuori strada: cosa che (con alcuni registi) capita, per carità, ma decisamente meno di quanto desidererei e mi aspetterei. A volte, come in questo caso, anche a scapito del cinema, del ritmo, che ci guadagnerebbero a mio avviso. Perché sono sicuro che una versione coeniana - per dirne una - di "Conclave" avrebbe fatto fare a tutti grasse e sane risate, di quelle che te le ricordi e ne parli per giorni, settimane, mesi.

Persino quell'attore enorme di Ralph Fiennes, se le sarebbe fatte. Portandosi a casa ugualmente lo scettro di fenomeno assoluto e mattatore della scena: visto che se non fosse per lui, per il lavoro in sottrazione magnifico eseguito sul personaggio del Cardinale Lawrence, la pellicola di Edward Berger avrebbe faticato non poco a rimanere in piedi su sé stessa. Che poi, l'elemento più assurdo di questa riflessione fatta così, a ruota libera, è che persino le tematiche sembravano perfette per provare a prendersi un po' in giro, a sdrammatizzare. A cominciare da una Chiesa abitata da anime egoiste, grette, politicamente impegnate ad annaffiare il loro orticello e ad accarezzare il desiderio di guadagnare potere. Più che un conclave sembra di assistere a una campagna elettorale, in pratica. Una delle nostre, in Italia. Con le rivolte sociali all'esterno e i complotti e gli accordi all'interno. La differenza, ovviamente, qui la fa l'imprevisto del sovrannaturale, quello che all'improvviso fa(rà) capolino, minacciando un pericoloso effetto "Il Codice Da Vinci" o "Angeli e Demoni" che per fortuna non si concretizza. Un intervento Divino volto ad anticipare la riuscita di un piano macchinosissimo (e umano), che vorrebbe aprire le porte a una sorta di colpo di scena finale dal suono quasi provocatorio (l'unico): intenzionato a gettare (o a suggerire) le basi per un progressismo (in)sperato, di fronte al quale si rischia addirittura di ridere davvero e stavolta involontariamente, aumentando il rammarico di una commedia-thriller demenziale che poteva farsi memorabile.

Lo so, so benissimo cosa state pensando e, probabilmente, avete anche ragione.
È facile sia stato l'unico in sala a intravedere questa breccia foglia di un multiverso, a cavalcare potenzialità narrative che non stanno né in cielo e né in terra. Qualcuno, addirittura, si starà stizzendo a leggere queste parole, non accettando l'idea che si possa solo ipotizzare, o scherzare, sulla sacralità e il peso di certi argomenti. 
Eppure, se un esperimento del genere non ce lo permettiamo al (e col) cinema, dove a comandare è la finzione, la creatività, l'intrattenimento, mi chiedo dov'è che ce lo possiamo permettere, allora. Quale posto migliore per osare, esplorare, sognare? Lì dove le regole non esistono, il pubblico è mentalmente aperto (o dovrebbe esserlo) a lasciarsi sorprendere e tentare nuove direzioni - per quanto folli, o estreme - non comporta alcun tipo di tragedia, o di rischio.
Al massimo può capitare di sbagliare film. Ma quello può succedere pure quando i rischi non te li vai a prendere. Per cui, tanto vale, buttarsi, a questo punto.
Come è successo a me da spettatore prima e da pseudo-critico poi. E, anziché, scrivere la solita recensione di un film, ho preferito (buttarmi e) buttare giù un pezzo su qualcosa che mi sarebbe piaciuto vedere come alternativa.
E se avrò fatto male, oh, amen!

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