Maxxxine - La Recensione


Maxxxine è Mia Goth, una mastodontica Mia Goth.
Ma Maxxxine è anche l'unica ragazza sopravvissuta al terribile massacro avvenuto nella casa di campagna del Texas che abbiamo visto (o dovremmo) in "X: A Sexy Horror Story". Quello, per intenderci, cominciato per mano dell'anziana signora Pearl - che era sempre Mia Goth, invecchiata benissimo - le cui origini, poi, sono state spiegate assai meglio nel bellissimo prequel - e migliore della trilogia, al momento - che abbiamo visto (o dovremmo) l'anno scorso e che come titolo porta il suo nome.

Maxxxine però è anche una semplice ragazza - oddio, semplice mica tanto, a dire il vero - con un sogno nel cassetto: quello di diventare un'attrice di successo. E quel di successo è molto importante, perché veicolo che la spinge ogni volta a mettercela tutta, a lottare, a sporcarsi le mani (e i tacchi, pure). Qui la ritroviamo a Hollywood - siamo nel 1985 - forte di una carriera avviatissima nel mondo del porno, contesto che comincia a starle abbastanza stretto e che vuole lasciare in favore di una grande opportunità appena conquistata nel cinema horror. Ma quella che dovrebbe rappresentare l'occasione della sua vita, sembra stia per essere minata da un passato che torna a farle visita e da un serial killer - Night Stalker - che sta terrorizzando le strade e le donne di Los Angeles. Ci mette un attimo, allora, a somigliare a una sceneggiatura di Shane Black declinata in salsa slasher, la storia che Ti West scrive e dirige per andare a chiudere il cerchio (per adesso, almeno) della sua fortunatissima saga, rinominata "X" (alla mente tornano "Kiss, Kiss, Bang, Bang" e "The Nice Guy"). Eppure, ogni suo elemento non poteva che prendere tale direzione, sembra, visto come va a incastrarsi e ad amalgamarsi poi perfettamente con quanto visto e messo sul piatto in precedenza: seguendo un filo logico e una coerenza (narrativa e di caratterizzazione dei personaggio) per nulla casuale, o scontata. Un discorso che fila, quindi, che mantiene una sorta di armonia, pur rischiando di lasciare un po' con l'amaro in bocca per quanto riguarda l'aspetto di uno spettacolo in crescendo che, complice anche l'exploit di "Pearl", forse, qui era lecito aspettarsi, ma che purtroppo viene a mancare. Ed è un peccato, perché i presupposti per spingere un pizzico più l'acceleratore verso una sana e libera follia - dal sapore ironico, ovviamente - erano lì a portata di mano, in attesa proprio di essere colti e sfruttati a dovere (o meglio).

Maxxxine Mia Goth

Ma pare quasi schiacciato dalla troppa carne al fuoco stavolta, West: che fa satira sul mondo di Hollywood, descritto come popolato da assassini, mafiosi e psicopatici (ah, si?!), e sull'America recente, tirando in ballo complottisti, fanatici religiosi e malati di popolarità. Frecce che, per carità, fanno benissimo al suo arco e a quello di una pellicola che ama spaziare, muoversi su vari livelli e mischiare le carte, ma che non vanno ad aggiungere, o aggiungono poco, a ciò che ci aveva già raccontato e fatto vedere. Se questo "Maxxxine" doveva essere l'apice, insomma, la consacrazione di un progetto partito in sordina e poi cresciuto - lo stesso in sordina - diventando un piccolo caso tra gli appassionati del genere e non solo, probabilmente, manca il bersaglio. E lo manca pure quando si dimostra chirurgico nell'andare a mettere ordine nel suo mosaico, quando è scaltro nel costruire un finale scoppiettante, ricco di violenza, comicità grottesca e sentimenti. Finale in cui il percorso di Maxxxine appare finalmente compiuto, conquistato, seppur ormai cementato dai suoi stessi demoni, dai suoi drammi e dal cinico terrore che (ci) trasmette e che la consacra (e consacra Goth) scream-queen dal sangue freddo e letale, da cui ogni assassino farebbe meglio a tenersi alla larga. 

Tuttavia, ciò che rimane impresso e che, forse, è anche un piccolo rimpianto di questo film - secondo chi scrive, almeno - è l'utilizzo un po' pigro che fa dei due detective interpretati da Michelle Monaghan e Bobby Cannavale (in partissima). Specialmente quest'ultimo che, rimasto deluso dal non aver sfondato come attore, non riesce a fare a meno di interpretare ciò che è diventato come fosse una macchietta, esagerando negli interrogatori e chiedendo ogni volta feedback sulla sua interpretazione alla collega, che puntuale lo rimprovera.
Una trovata splendida, un colpo di freschezza (e di leggerezza), giocato, per i miei gusti, con eccessiva parsimonia. 

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