Scary Stories To Tell In The Dark - La Recensione

Siamo ad Halloween. È il 1968. E la propaganda in favore della Guerra del Vietnam da i suoi frutti. Le televisioni mostrano Richard Nixon impegnato nelle ultime battute della sua Campagna Elettorale, quella che, a brevissimo, lo porterà ad essere eletto come nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America.


Ma cosa c’entra tutto questo con “Scary Stories To Tell In The Dark”?

Tutto e niente. Se da una parte, infatti, quel conflitto non entrerà mai nel merito della trama, in realtà c’entra, perché quella che fa André Øvredal non è una semplice contestualizzazione: uno perché è reiterata e due perché il norvegese – in quanto occhio esterno e straniero, probabilmente – trova proprio in questa chiave l’unico elemento originale con cui dare un minimo d’identità ad un horror che, altrimenti, non ne avrebbe avuto nessuno. Del resto non commettiamo nessuna eresia a dire che quello tratto dalla serie omonima dei libri di Alvin Schwartz, e prodotto (e co-sceneggiato) da Guillermo del Toro, è un film che si limita a riciclare gli ingredienti del genere – prendendo come campioni fondamentali "La Casa", “Final Destination” e “The Ring” – riproponendoli in una forma che si accontenta di apparire come meno piatta e più efficace possibile. Una formula che assunta con pop-corn e bibita alla mano porta a casa una sufficienza senza infamia e senza lode, con la menzione speciale di ostentare un impegno – perlomeno nell’estetica e nella costruzione delle scene – che tutto pare, fuorché disinteressato o eseguito con mano sinistra. Insomma, Øvredal alla sua seconda esperienza in lingua inglese non ha l’opportunità di fare quel passettino in avanti rispetto ad “Autopsy” – che pure male non era – ma trova comunque la tigna e il carattere per non farne nemmeno uno all'indietro: e con un copione come quello che aveva tra le mani, non era per niente scontato.

La storia di Sarah, della sua prigionia e del suo libro di storie macabre – che la leggenda vuole punisca chiunque osi avvicinarsi ad esso, dando vita a nuovi racconti terrificanti, scritti in tempo reale, con al centro i diretti interessati – forniva assist per una caterva di cliché; suggeriva strade di narrazione già battute, di quelle che rischiano – per quanto sciupate – di risultare retoriche, scopiazzate, rubate. Trappole che, nonostante tutto (e nonostante a volte non siano evitabili), la regia di “Scary Stories To Tell In The Dark” prova in ogni circostanza a schivare, saltare, dandosi da fare e sbattendosi per tenere viva una tensione e un’attenzione costantemente in bilico, costantemente a rischio forfait dello spettatore. Ci riesce? Ni. Nel senso che, nella maggior parte delle occasioni, è palesemente impossibile non anticipare cosa stia per accadere, non prevedere quello jumpscare piuttosto che quell’altro e accettare che questo genere di tecnica per lo spavento sia considerata ancora regolare, onesta e accettabile.

Ma per fortuna Øvredal mette una pezza a tutto ciò, imbastendo una corsa che, onestamente, non (ci) stanca mai. Che il pubblico più adulto e più svezzato battezzerà come aperitivo d'entrata, ma che quello più adolescenziale, inesperto, o alla ricerca semplicemente di qualche brivido, porterà a casa con moderato piacere.

Guardando con un pizzico di diffidenza, forse, a quel parallelismo fatto tra l’ombra di Sarah e la Guerra del Vietnam. Cercato pindaricamente, magari, eppure imbroccato.

Trailer:

Commenti