La stabilità politica, da qualche anno a questa parte, è così precaria e pregna di tensione da spaventarci ogni volta che ascoltiamo le notizie al telegiornale. Le superpotenze mondiali sono governate da leader che non hanno alcuna intenzione di andare d'accordo (su qualcosa) e l'unica costante, ormai, sembrano essere le guerre, i ricatti e le minacce. Minacce che, in un contesto del genere, potrebbero impiegare pochissimo tempo per trasformarsi in attacchi. Non verbali, ovviamente, ma nucleari.
E uno dei motivi per cui "A House of Dynamite" ha un impatto agghiacciante, che genera un'ansia implacabile nello spettatore, allora, è proprio perché trasforma queste nostre paure (razionalissime) e questi nostri timori, in delle realtà concrete. Riesce a farlo a prescindere da una struttura narrativa che originale non è per niente, anzi, forse rappresenta il suo unico punto debole, per come tende a ripetersi, cambiando il punto di vista degli eventi, attraverso le cariche (e le possibilità di manovra) dei vari soggetti coinvolti. Eppure, sono le (tante) domande che pone ad emergere, a creare alta tensione. Cosa succederebbe se domani, o magari oggi, all'improvviso una testata nucleare partita da chissà dove - non è importante - puntasse dritta sul nostro paese? Come dovrebbe reagire il nostro governo? Sarebbe pronto a farlo? In quanto tempo dovrebbe prendere una decisione? E se fosse un falso positivo? Ha senso contrattaccare immediatamente un bersaglio ipotetico (e non un sicuro nemico, attenzione) per far passare il messaggio che col nostro paese non si scherza? Oppure equivarrebbe a un suicidio? Perché è questo che vuole fare Kathryn Bigelow, evidenziare le zone grigie, mettere in ridicolo il potere, annichilire una pseudo-sicurezza che, poi, quando è il turno di essere chiamata in causa, è obbligata a spogliarsi delle chiacchiere e a mostrare tutte le sue falle e le sue fallibilità (umane), comprese le conseguenze (drammatiche) dettate da gesti potenzialmente bruschi.
In questo caso, a pagarne le spese sono gli increduli Stati Uniti - il missile è diretto verso Chicago - schierati in massa in ogni stanza del potere esistente per ponderare ogni mossa ed evitare la catastrofe e un'escalation addirittura peggiore. Una strategia (politica) da non sottovalutare (e intelligente) quella di muoversi coi piedi di piombo, di sfruttare al massimo ogni secondo a disposizione per negoziare, indagare e (eventualmente) mediare. La chiave, del resto, in queste situazioni è rappresentata sempre dalla persona al comando: che tipo è il Presidente americano a cui spetta l'ultima parola? (Repubblicano? Democratico? Aperto al dialogo, tiranno?) Bigelow lo sa perfettamente, e non a caso cela il casting di questa figura il più a lungo possibile, svelandolo solo nel terzo atto. E noi, non appena lo riconosciamo, afferriamo all'istante il suo schieramento, i suoi valori, i conflitti interni contro i quali sta combattendo per far sì di non deludere i suoi principi e (in teoria) quelli del popolo che rappresenta.
Dalla verità, però, non si scappa. Il nostro mondo è una casa imbottita di esplosivo e non appena uno dei suoi coinquilini (più autorevoli) uscirà di matto, o commetterà uno sbaglio, l'intero condominio rischia di saltare per aria.
E questo è un fatto incontrovertibile. Una presa di coscienza tanto amara quanto cruciale per comprendere l'importanza (e l'attualità) di un film come "A House of Dynamite". Il quale ci mette di fronte a una realtà che tendiamo a ignorare, o a sotterrare dietro la speranza che se oggi è andata bene, sarà lo stesso anche domani. Almeno finché, qualcuno, per sbaglio o per capriccio, non decida di far scivolare la sua mano sopra un pericolosissimo pulsante rosso, decretando la fine dei giochi.
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