Bugonia - La Recensione

Messo da parte il capriccio personale - e poco produttivo - di "Kind Of Kindness", Yorgos Lanthimos torna sui binari e si affida all'usato sicur(issim)o. Prende un film coreano del 2003 - il "Save the Green Planet!" di Jang Joon-hwan, da noi abbastanza sconosciuto - e ne fa un remake americano più o meno identico all'originale, salvo aggiungerci dentro qualche piccolo dettaglio - servito su un piatto d'argento - figlio dei tempi recenti.

La pandemia, i negazionisti, i complottisti, i MAGA.
Era impossibile, anzi no, era decisamente un delitto non contaminare il copione di partenza con questi elementi e, quindi, arricchirlo, americanizzandolo con l'attualità. Ad incarnarli tutti insieme è il Teddy di un Jesse Plemons strepitoso, costruito meticolosamente per impersonare il fuori di testa per eccellenza: quello consapevole della sua diversità e, di conseguenza, discreto con il prossimo, taciturno, integrato, mentre sotto sotto, nel seminterrato di casa sua, legge libri sugli andromediani e si documenta online, perché i classici notiziari e i giornali si sa, non sono affidabili. Al suo fianco, un braccio destro senza né arte e né parte, suo cugino Don: un emarginato della società fragilissimo, triste, solo al mondo. Insieme (si fa per dire), stanno pianificando di rapire il CEO di una gigantesca azienda farmaceutica - ma va? - convinti che, in realtà, sia un alieno sotto mentite spoglie, prossimo a distruggere la razza umana (ma la motivazione vera di quell'obiettivo scopriremo essere un'altra). Quell'alieno è Emma Stone che, neanche a dirlo, si renderà presto conto della situazione folle in cui è capitata e cercherà di gestirla servendosi al massimo della diplomazia che conosce (la sua unica arma).

Torna a fare ciò che sa fare meglio, insomma, Lanthimos e cioè satira nei confronti della società (moderna). Se "Povere Creature", infatti, prendeva di petto l'ipocrisia dei nostri usi e costumi, mettendoli alla berlina attraverso una variante del mostro di Frankenstein, qui diventa ancor più paraculo e passa dalla parte di chi, fino a prova contraria, oggi in America rappresenta la maggioranza (ipotetica quantomeno). Quei figli di Trump che non fanno altro che guardare agli intrighi, alle cospirazioni, nascondendo magari un background decisamente preoccupante che spiegherebbe per filo e per segno tale necessità di attenzioni e di tossica integrazione. Però a "Bugonia" non interessano troppo questi discorsi, queste disamine antropologiche trite e ritrite (sebbene vengano citate). Lanthimos preferisce fare il bullo (innocuo, simpatico), prendersi gioco di loro - e di noi spettatori - e assecondare il pensiero assurdo realizzando un film che è irresistibile proprio per come va a gestire il confronto, i duelli psicologici spesso verbali, ma pure non verbali e paraverbali, tra la Michelle Fuller di Stone (esemplare come al solito) e il Teddy di Plemos. Un braccio di ferro continuo, sfiancante e violento con lui che non intende sentire ragioni (logiche) e lei che, non avendo il coltello dalla parte del manico, cerca di assecondarlo, sperimentando strategie - se serve manipolatorie - utili a scendere a patti e a liberarla dalla prigionia. Chiaramente, i livelli di tensione e ironia salgono rapidamente alle stelle, al pari della pazzia generale, destinata a trascinarci dentro un finale che, onestamente, migliore di così non poteva uscire (anche per come si fa beffa di noi spettatori).

Ancora una volta, allora, Lanthimos conferma di funzionare assai meglio quando non è impegnato in sceneggiatura - a scrivere il film è Will Tracy - ma solamente in cabina di regia. E con "Bugonia", pur non raggiungendo gli alti dei suoi maggiori successi, realizza un divertissement a dir poco micidiale, ricco di buone intuizioni e capace di spaziare in scioltezza tra i vari generi (commedia grottesca, dramma, fantascienza).
Uno di quelli, in pratica, che quando capita ti va di rivederlo sempre volentieri.

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