[Belli e (im)Possibili] Greener Grass - La Recensione

Greener Grass Film
Il mito dei sobborghi americani, dei quartieri residenziali ideali – dove le famiglie possono raggiungere il massimo dell’armonia, crescere i loro figli in un ambiente sano e legare fortemente con l’intero vicinato, incontrando così l’esempio più nitido del sogno americano – è stato demolito (d)al cinema (specie negli ultimi anni) in più di un’occasione. Parliamo di un modello di vita inizialmente ricercato, rincorso da molti, sponsorizzato, ma che il tempo ha costretto alla resa e alla successiva perdita dell’incanto: smascherandolo attraverso un atteggiamento che sarebbe sbagliato definire cinico, perché il giusto termine è disincantato.

Ma tra le tante voci che hanno provato – chi meglio, chi peggio – a denunciare le falle e le ipocrisie di questo sistema di plastica, mancava forse quella più bella: la voce che dal coro riesce a distinguersi, ad attirare l’attenzione, restando comunque agganciata alla melodia e alle tonalità del brano. Questa voce arriva – e non è un caso – da due donne, due donne che sono le menti, il braccio e la faccia di “Greener Grass”; due donne che evidentemente avevano qualcosa (di nuovo) da dire sull'argomento e che hanno deciso di farlo usando l’arma migliore in assoluto: l’assurdo. Loro sono Jocelyn DeBoer e Dawn Luebbe, sceneggiatrici, registe e pure – non da sole, ovviamente – interpreti di quella che potremmo definire la satira più feroce, divertente e nonsense su uno stile di vita irritante e ridicolo (e senza senso, appunto) che valeva davvero la pena schernire, prendendosene gioco senza pietà. Non ci sono freni, infatti, alla loro fantasia, alla maniera con la quale portano avanti una storia fuori da ogni logica, che riesce a farsi sorprendente già dalla prima scena e da quei titoli di testa – accompagnati da una musica che è tutto un programma – che ostentano in primo piano un sorriso tremante (con tanto di apparecchio sui denti, simbolo di perfezione imposta), che in qualche modo dice già tutto rispetto alla pubblicità e allo spaccato di società che andremo a conoscere (da vicinissimo).

Greener Grass DeBoer LuebbeOra, svelare fin dove è disposta spingersi la follia di “Greener Grass” è un sacrilegio al quale sarebbe ingiusto partecipare: far rimanere a bocca aperta lo spettatore è una delle caratteristiche principali di questo film e remargli contro non avrebbe alcun senso. Nonostante ciò è importante evidenziare la lucidità di una scrittura che – per quanto possa apparire fuori controllo – è lucidissima, invece, nel mettere a fuoco le nevrosi di una comunità costantemente alla ricerca di perfezione, di benessere e di attenzioni. Una comunità programmata per manifestare felicità perenne e quindi contaminata da una competizione (e da un'idiozia) infinita che non intrappola esclusivamente la stabilità mentale degli adulti, ma che si riversa anche in quella dei loro bambini: abituati a dover soddisfare degli standard troppo alti, sotto la pressione di genitori che non ammettono risultati mediocri (e qui c’è un risvolto geniale a riguardo, uno schiaffo durissimo).
L'anatomia di un fallimento, dunque, destinata a mietere vittime e prigionieri e a non salvare praticamente nessuno. Nessuno tranne il cinema e i suoi generi. Perché la DeBoer e la Luebbe sanno giocare benissimo con le immagini e coi suoni (e col montaggio), sanno posizionare la macchina da presa, caricare di suspense e di risate le loro scene: toccando l’apice della fascinazione quando la sottotrama thriller, lasciata cuocere a fuoco lento, passa a riscuotere il suo credito producendo uno dei momenti più angoscianti e tremendi che il grande schermo ricordi.

Non è possibile, allora, stare al passo con “Greener Grass”, mettersi lì a ragionare e ad anticipare le sue mosse, perché il risultato è quello di ritrovarsi sempre e completamente fuori strada. Quello rappresentato dalla DeBoer e dalla Luebbe è un mondo a parte, lo è nella realtà dei fatti e, giustamente, lo deve essere anche all'interno di una finzione che decide di farlo evolvere a un livello (estremo e) successivo.
Un livello splendido e gustoso da vedere, ma certamente non da vivere.

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