To Rome With Love - La Recensione

Prima “Bop Decameron” poi “Nero Fiddled” e infine “To Rome With Love”, insomma il progetto romano di Woody Allen dava l’impressione di non avere le idee molto chiare quando ancora doveva solamente attribuirsi un titolo per lo script. Certo, è curioso constatare che sia stata la sceneggiatura poi la responsabile numero uno della disfatta, proprio quella che qualche mese fa gli aveva fatto vincere il premio Oscar per “Midnight in Paris”, il terzo complessivo da sceneggiatore e il quarto della carriera. Purtroppo però “To Rome With Love” non possiede nulla dell’inconfondibile "stile Alleniano” che noi tutti conosciamo, o perlomeno possiede molto, molto poco.

Se fosse possibile vedere il film senza sapere chi sia veramente l’autore avremmo delle enormi difficoltà ad attribuirlo al regista di “Io e Annie”. Indubbiamente il suo ritorno sulla scena ci faciliterebbe se dovessimo tirare una soluzione affrettata (ah, il doppiaggio di Leo Gullotta è ottimo) ma la pochezza dei contenuti, i dialoghi banali e uno humour piuttosto scarso rispetto agli standard farebbe rimanere chiunque abbastanza scettico alla rivelazione della risposta esatta. La percezione è che non fosse neanche tanto una questione di idee stavolta a mancare al buon vecchio Woody quanto magari una maggiore quantità di tempo a disposizione per elaborare efficacemente e con degli spunti assai più vivaci le discrete intuizioni partorite.

Ogni episodio di questa pellicola infatti ha di per sé delle imbeccate interessanti e potenzialmente molto ironiche ma nessuna di loro tuttavia risulta essere trattata in maniera vigorosa e ottimale da dimostrarsi davvero incisiva. Le quattro storie che si sviluppano intorno alla magia e alla bellezza degli scenari di Roma danno la sensazione di essere alquanto trascurate nella loro scrittura e talmente approssimate nella loro elaborazione da propagare un grandissimo senso di incompiutezza da cui probabilmente sfugge solo l’episodio di Jesse Eisenberg ed Ellen Page. E' pensabile che Allen abbia dei seri problemi a fare i conti con la propria pensione e quindi con il riposo, ed è plausibile che il piccolo ruolo ritagliatosi in questo film (è il personaggio più divertente) sia una sorta di confessione rilasciata al pubblico, sta di fatto che un Roberto Benigni più inefficace di quello visto in “To Rome With Love” è facile che al cinema non si sia mai visto mentre la farsa in cui cadono i poveri sposini Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi è tirata giù così velocemente da potersi ritenere non più di una bozza di storia da ultimare: cadute troppo difficili da digerire al cospetto di un autore di questo calibro.

Se di quattro storie ce ne fosse stata soltanto una, che racchiudesse in sé anche il meglio delle altre, forse adesso staremmo qui a fare dei discorsi differenti, ma nel suo viaggio romano sfortunatamente Woody Allen da l’impressione di essersi quasi italianizzato, di aver lasciato il tocco nella valigia se non addirittura a New York. Stando alle sue parole però, quelle rilasciate durante la conferenza stampa di Roma, scrivere film lo aiuta a distrarsi, è come una terapia utile a stare lontano dai problemi della vita e se a volte dovesse accadere di realizzare un brutto lavoro allora non sarà certo la fine del mondo.

Quindi Allen pare cosciente della sua scarsa prestazione e ce lo comunica persino con l'ultima battuta del film proferita dal vigile che apre e chiude il racconto: "Di storie ce ne sono tante, un giorno ve le racconterò". Queste parole racchiudono un valore di speranza e sono la promessa che un giorno lui tornerà a Roma per regalarci finalmente il bel film che non ci ha mai regalato.
Considerato ciò: continua così Woody e beato te.

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