Un noir scanzonato, una (auto)biografia, ma pure una satira feroce e aperta nei confronti della Bibbia, della fede. È tutte queste cose accorpate insieme, "Io Sono Il Diavolo", lo spettacolo di Claudio "Greg" Gregori che, orfano di Lillo, si cimenta in un monologo di circa due ore in cui racconta - romanzando e con la consueta ironia nonsense che lo contraddistingue - alcuni eventi cruciali legati alla sua infanzia, alla sua crescita, spiegando come questi l'abbiano influenzato, delineandone pensiero, percorso (di vita, artistico) e punto di vista nei confronti di ciò che è bene e ciò che è male.
O, detto in sintesi, tra il seguire la parola di Dio, oppure quella della sua nemesi.
In effetti - e questo vale per chiunque da bambino abbia avuto a che fare con le suore, perlomeno con quelle di qualche decennio fa - un certo tipo di educazione, quasi violenta e minacciosa, è facile che qualche dubbio in merito alla narrazione che si sta subendo, lo faccia sorgere. Specialmente se, leggendo la Bibbia, poi ci si imbatta in episodi spietati, dettati dalla collera e dalla vendetta (del Signore). E così è un attimo che le azioni di Dio, nell'immaginazione di qualcuno, possano ricordare un po' i gangster-movie di Martin Scorsese, o che proprio Dio, addirittura, possa venir paragonato, magari per scherzo, magari per semplice provocazione, al Padrino di Francis Ford Coppola (assumendone le espressioni, i movimenti, la voce). Sta di fatto che la confusione tra quella che dovrebbe rappresentare la retta via - secondo la società e per convenzione - e la concorrenza (da cui bisognerebbe restare alla larga), a un certo punto comincia a farsi profonda, evidente. Saranno le tirate dei capelli ricevute in classe, le canzoni al di sotto delle aspettative, i fumetti sequestrati da coloro che dovrebbero star lì a simboleggiare il giusto, elargire affetto, dolcezza. E a quel punto è comprensibile ritrovarsi ad essere attratti dal lato oscuro, volerlo esplorare, capire se davvero è così pericoloso come le leggende (metropolitane) dicono, oppure se c'è un disegno assai più grande, per cui qualcuno sta mentendo per portare acqua al suo mulino. Ed è qui che si apre un mondo, allora, quello in cui un Greg fervido di fantasia e di umorismo, ci trascina dentro la sua testa e dentro la sua follia.
Il suo spettacolo è divertente, grottesco, assurdo (spesso graffiante) e pure se - come suggerisce il titolo - potrebbe sembrare un'ottima trovata di marketing, utile a ridistribuire lo schieramento sbilanciato dei pellegrini, in realtà non ci chiede di vendere la nostra anima al diavolo - perché paga meglio e offre servizi migliori - ma solamente di prendere in considerazione l'abitudine a smettere di berci qualsiasi cosa venga propinato o distribuito da chissà chi o chissà che cosa (a meno che non sia whisky o grappa!). Un elogio al forse, insomma, al cerchiamo di capire meglio, al restare agnostici fino a prova contraria. E non tanto nei confronti della religione, perché quello, appunto, al massimo è un appiglio da cui partire per generare un discorso più ampio. Il vero tema qui - sviscerato nel finale - è quello di fare attenzione agli strumenti che ogni giorno teniamo sotto gli occhi, alle nuove religioni, ai social, agli smartphone, alle shitstorm, le fake news, il politicamente corretto. Perché è importante, sempre, mettere tutto in discussione e mai dar nulla per scontato. Non fidarsi a prescindere di ciò che ci viene imposto, suggerito, o consigliato. Impariamo a usare il cervello, a sollevare dubbi, se necessario. Esploriamo, testiamo con mano, e impariamo a farlo fin da bambini.
Anche perché, considerando i tempi che corrono, forse questo è l'unico modo per salvarsi dallo schifo, dal decadimento culturale e intellettuale che, ahinoi, sta dilagando ovunque.
Anche perché, considerando i tempi che corrono, forse questo è l'unico modo per salvarsi dallo schifo, dal decadimento culturale e intellettuale che, ahinoi, sta dilagando ovunque.
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