Il Quinto Potere - La Recensione

Di fenomeni Bill Condon è uno che se ne intende, o perlomeno ha imparato a farlo da quando gli è stato commissionato di portare a termine quel "Twilight" di Stephenie Meyer che tanto ha scosso l'interesse degli adolescenti di tutto il mondo.
Non ha scosso gli interessi degli adolescenti invece, ma bensì quello degli Stati (Uniti), dei governi e del pianeta, un'altro fenomeno, quello di WikiLeaks, sito internet che fece la sua prima apparizione online nel remoto 2006 e che si incaricava di pubblicare documenti ufficiali, classificati e incensurati, provenienti da fonti anonime e riguardanti materiale sensibile o top secret, provocando scosse inaspettate e robuste abbastanza da trafiggere trasversalmente internet, testate giornalistiche, popolazioni e paesi.

Ispirato a due dei moltissimi libri pubblicati a riguardo ("Inside Wikileaks" e "Wikileaks: La Battaglia Contro Il Segreto Di Stato"), "Il Quinto Potere" si sofferma sul periodo che vide collaborare insieme l'artefice del progetto WikiLeaks, Julian Assange, e il suo fidato braccio destro, Daniel Domscheit-Berg, dimessosi nel 2010 ed attualmente ancora in causa con Assange. Tuttavia l'indirizzamento preso da Condom per la pellicola ricorda vagamente quello di un'altro fenomeno ancora, precisamente del social network più famoso del mondo che David Fincher con grande perizia, intelligenza ed efficacia (non) portò al cinema solo pochissimi anni fa. In maniera neppure troppo vaga infatti sono moltissimi i punti di contatto che legano questo Assange a quel Zuckerberg e WikiLeaks a Facebook, perlomeno nella forma in cui le due correnti sono state adattate per proporsi al grande schermo. Entrambi i domini dunque figurano come figli di personalità alla ricerca di qualcosa, o comunque vittime di scheletri nell'armadio che premevano affinché qualcosa potesse aiutarli ad aprire le ante ed uscire fuori: se il Mark di Jesse Eisenberg allora veniva dipinto come un ragazzo in difficoltà coi rapporti sociali, il Julian di Benedict Cumberbatch viene dipinto come chi è costretto a portare con sé dei segreti e contemporaneamente l'altissima paura che questi possano in qualche modo venire alla luce.

Ma al di là dello spaccato caratteriale dei protagonisti - compreso quello del Domscheit-Berg di Daniel Brühl - il quale è gestito molto meno sapientemente in confronto a come seppe fare Fincher avvantaggiato dalla sceneggiatura di Sorkin, la reale difficoltà de "Il Quinto Potere" risiedeva integralmente nel saper raccontare un fatto di cronaca senza prendere le parti o le difese né di una sponda e né dell'altra, o, al contrario, di trovare il coraggio per schierarsi risoluto in favore di una delle due. Per buona parte Condom adempie senza sbavature al suo compito, attenendosi agli eventi e soffermandosi spesso sugli attriti che per sfumature piuttosto dure venivano a crearsi ripetutamente tra il determinato Assange e il più ponderato Domscheit-Berg, poi però qualcosa muta e l'ago della bilancia comincia a pendere verso un conservatorismo prettamente americano che, senza sorprese, depenna in fretta e furia WikiLeaks e il suo creatore etichettandoli come una minaccia terroristica e gettando acqua su un fuoco probabilmente più scomodo che pericoloso.

Parte incendiario, insomma, "Il Quinto Potere" ma poi durante la lunga corsa (128 minuti) si scopre un vero pompiere di razza. Cerca di rifarsi allestendo poi una finta intervista conclusiva in cui vorrebbe scaricarsi leggermente delle responsabilità (la verità va cercata personalmente da ognuno di noi, dice), ma per quanto furbo e falso cerchiobottista non sa coprire la volontà di mettere all'angolo, mostrandola come pericolosa, un tipo d'informazione che proprio perché libera e rivoluzionaria è diventata nell'era che stiamo vivendo la più credibile e la più fastidiosa. Atteggiamento troppo superficiale e inammissibile.

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