La trama è uno specchio, quasi, della pellicola diretta da Deodato trentatré anni fa e non tanto diversa neppure da quello che fu "Hostel", maggior successo commerciale di Roth: un gruppo di ragazzi lasciano l'America per una terra ignota e straniera, in questo caso il Perù, e partiti per uno scopo (impedire il disboscamento di una porzione di giungla locale) restano vittime degli abitanti del posto che li fanno a pezzi lentamente.
Il poliedrico regista statunitense gira così uno splatter trash che richiede l'equipaggiamento di stomaci forti, se non altro per sostenere quella parte di scene che poco o niente lasciano all'immaginazione, e fornisce al suo lavoro uno stampo da b-movie e una destinazione che più che cinematografica da l'impressione di essere presumibilmente televisiva.
Da una mente che definire traviata sarebbe un eufemismo vengono concepite delle trovate sadiche obiettivamente spiazzanti e divertenti, che non perdono occasione per rallegrarsi con i corpi mutilati dei protagonisti e che trovano il tempo persino per concedersi una tenue denuncia da dedicare agli attivisti. Per il resto il "The Green Inferno" è esattamente il prodotto che rispetta le attese previste, con litri di sangue, uccisioni e pezzi di esseri umani, tagliati e distribuiti qua e la. La filmografia di Roth resta quindi impigliata dalla dominanza horror, senza ancora però consacrarlo come uno dei maggiori o singolari esponenti del genere, volendo potremmo dire invece che lo ricolloca ad essere un Robert Rodriguez a cui manca l'abilità di far funzionare poetica spicciola e trovate stimolanti, sa solleticare il suo pubblico con accorgimenti soddisfacenti ma non concede mai alle sue sceneggiature l'estro che probabilmente è in possesso del regista messicano o, per esempio, del suo maggior sponsor Quentin Tarantino.
Da una mente che definire traviata sarebbe un eufemismo vengono concepite delle trovate sadiche obiettivamente spiazzanti e divertenti, che non perdono occasione per rallegrarsi con i corpi mutilati dei protagonisti e che trovano il tempo persino per concedersi una tenue denuncia da dedicare agli attivisti. Per il resto il "The Green Inferno" è esattamente il prodotto che rispetta le attese previste, con litri di sangue, uccisioni e pezzi di esseri umani, tagliati e distribuiti qua e la. La filmografia di Roth resta quindi impigliata dalla dominanza horror, senza ancora però consacrarlo come uno dei maggiori o singolari esponenti del genere, volendo potremmo dire invece che lo ricolloca ad essere un Robert Rodriguez a cui manca l'abilità di far funzionare poetica spicciola e trovate stimolanti, sa solleticare il suo pubblico con accorgimenti soddisfacenti ma non concede mai alle sue sceneggiature l'estro che probabilmente è in possesso del regista messicano o, per esempio, del suo maggior sponsor Quentin Tarantino.

Se stiamo sbagliando staremo a vedere, di certo non siamo disposti ad aspettarlo in eterno.
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