A un certo punto, in "After The Hunt: Dopo La Caccia" di Luca Guadagnino, un personaggio esclama una battuta che è tanto attuale quanto pericolosissima: "Bisogna credere a quello che dicono le donne!". Una frase che mi ha fatto ricordare l'episodio per cui il fumettista Gipi, ormai anni fa, fu praticamente crocifisso sui social per averci - giustamente - ironizzato su, attraverso una vignetta che voleva ricordare a tutti quanti che (per fortuna) esiste (ancora) lo Stato di diritto. E nessuno, quindi, può e deve avere ragione (o torto) a prescindere.
Lo so, è un terreno scivolosissimo, perché costellato da zone grigie, da vizi e da morali ipocrite e da correggere, ma pure un terreno che non ci possiamo permettere di prendere e di togliere di mezzo così, tanto per, altrimenti si creerebbe un caos infernale. Lo stesso caos (infernale) che – più o meno - accade nel film di Guadagnino, dove - per farla breve - un professore dell'Università di Yale, interpretato da Andrew Garfield, viene accusato di stupro da una sua studentessa - personaggio che raccoglie insieme una serie di minoranze (è omosessuale, nera e il suo partner è non binario), impersonato dalla Ayo Edebiri di "The Bear" - che tuttavia non è in grado di dimostrare ciò che racconta. Ma la reazione della scuola (e non solo) è quella tipica provocata dalla cancel culture, col professore licenziato in tronco ed emarginato totalmente (dalla società). Ma a fare più rumore è la posizione della stimata insegnante - in attesa di cattedra - e mentore della ragazza - il cui volto è quello di Julia Roberts - che sembra scegliere di credere alla storia di lei e non a quella del suo amico, collega e pseudo-amante, più per una questione di comodità che per reale fiducia, e forse la colpa è (anche) di un passato che, in qualche modo, l'ha vista prendere parte ad un episodio (segreto) abbastanza simile.
Insomma, la carne al fuoco è tanta, forse addirittura troppa, e tutta a rischio di facile carbonizzazione. Perché è evidente che Guadagnino voglia porre l'accento su un problema attuale, su una piaga, anzi, ma è evidente pure che non ha la minima intenzione di dare delle risposte. "After The Hunt: Dopo La Caccia", infatti, genera dubbi, interrogativi, mette lo spettatore in quella scomoda posizione (fastidiosa) in cui non sa più come deve muoversi, ragionare, agire. Da che parte sta la verità? Come la intercetto? E, probabilmente, questo punto, che poi è l'intellettualismo di cui si fa carico e che spinge fino all'estremo, è quello che più rischia di fargli perdere interesse, di confondere e allontanare chi sta guardando: che non sempre, purtroppo, potrebbe avere o trovare le motivazioni per correre dietro agli interventi e alle filosofie di protagonisti che - come annunciano i titoli di testa, in stile Woody Allen - fanno parte di salotti(ni) borghesi non proprio accessibili. Eppure, questo suo arrovellarsi, e a volte perdersi per poi ritrovarsi, rende la pellicola, magari, imperfetta e complessa, ma pure interessante e coerente con ciò che vuole comunicare: invitando quasi alla rinuncia del giudizio veloce e superficiale, in favore di riflessioni che, per certe tematiche, hanno bisogno del giusto tempo, di analisi complesse, estranee agli slogan (e che non è detto spettino a chiunque).
Il paradosso è che Guadagnino realizza (volontariamente?) un film che è quasi respingente, fuori fuoco - almeno con una sola visione alle spalle - e verbosissimo, un film che l'ironia non sa nemmeno dove sta di casa e che, in più di un'occasione, potrebbe dare la sensazione di girare a vuoto. Ma è solo apparenza, probabilmente. Perché dentro "After The Hunt: Dopo La Caccia" c'è un po' tutto il male di una società che ha perso punti di riferimento, che ha paura e che sente di doversi esprimere e schierare a prescindere, su qualsiasi cosa e in un batter d'occhi. Salvando in primis sé stessa e fregandosene di quelle vite che potrebbero interrompersi all'improvviso. Metaforicamente e non.
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