L'estate è quel periodo dell'anno in cui al cinema - in Italia, almeno - esce poco o niente. Le distribuzioni sembrano tirare fuori i loro fondi di magazzino e noi spettatori preferiamo andare al mare, piuttosto che in sala a subire lo strazio e la mediocrità di un prodotto di Serie Z. Eppure, per me l'estate è sempre stato anche quel periodo dell'anno in cui ricordo di aver scovato alcune "perle", piccoli film che, magari, se inseriti in un contesto diverso sarebbero stati offuscati, schiacciati da qualche blockbuster, ma che messi li nella penuria, invece, all'improvviso diventavano intriganti, attraenti. Mi viene in mente "Mean Girls", per esempio, che in adolescenza mi fece prendere una cotta per Lindsay Lohan, oppure "Easy A" che alimentò, invece, la cotta che già avevo preso - con "Superbad" - per Emma Stone. Già, perché ora che ci rifletto, a me l'estate ha messo spesso davanti a quella che poi si è rivelata essere una crush cinematografica, generando un trend a cui, sinceramente, avevo iniziato ad affezionarmi.
Ma questo, forse, è un altro discorso (o forse no).
Sta di fatto che, nonostante la filiera non funzioni più come una volta - colpa delle piattaforme? - quest'estate - a luglio, di preciso - in America è uscito "Ehi, Tu!", una wrong-com, com'è stata ironicamente - ma correttamente - (ri)definita, che in tempi diversi avrebbe seguito la falsa riga (distributiva) di quelle sopra citate, ma che purtroppo adesso dobbiamo accontentarci di vedere con qualche mese di ritardo (e in streaming). La storia è quella di una coppia di fidanzatini che si stanno recando fuori città per passare un week-end romantico insieme: sono nella fase iniziale dell'innamoramento, quella in cui ancora non ci si conosce benissimo e nella quale tutto appare perfetto. E cosi, mentre si apprestano a consumare la loro passione nella camera da letto che li ospita, scoprono un armadio (chiuso a chiave) contenente alcuni strumenti per il BDSM. Presi dal momento, decidono quindi di mettere un po' di pepe alla situazione, con lei che alla fine lega i polsi e le caviglie di lui alla spalliera del letto per poi procedere come da copione. Peccato che, ad amplesso finito, chiacchierando, viene fuori che i due non sono sulla stessa lunghezza d'onda: lei è convinta di fare coppia fissa, mentre lui non intende impegnarsi e considera la loro una relazione aperta. E lo dice senza pensarci troppo, ancora prigioniero delle catene, provocando quel pizzico di risentimento e delusione che spinge la ragazza a lasciarlo lì, incatenato, intenzionata a pianificare una strategia per fargli cambiare idea.
Viene a crearsi, allora, uno scenario molto simile a quello di "Misery Non Deve Morire", con Molly Gordon - la protagonista e co-sceneggiatrice per la quale, tanto per cambiare, credo di aver preso una bella crush - nei panni che furono di Kathy Bates e Logan Lerman in quelli di James Caan. Chiaramente, è tutto rimescolato e rapportato secondo i termini della commedia romantica (e grottesca), quindi scordatevi torture, violenze, o roba del genere. Qui c'è solo una ragazza follemente innamorata (e fuori di testa?) che cerca di convincere il suo partner - etichettato come softboy dalla sua migliore amica, ovvero come quel maschio che mira a raccogliere il meglio di un rapporto, schivando a piè pari le negatività - a prendere sul serio la loro relazione, mossa dalla convinzione che tra loro ci sia sintonia. Perché il tentativo della regista e co-sceneggiatrice Sophie Brooks è quello di mostrare come il romanticismo, appunto, e le relazioni moderne(?) non corrispondano più al modello classico a cui eravamo abituati. E pure il cinema, ahi noi, è giusto se ne renda conto e che, magari, prenda spunto per analizzare la questione. L'Isaac di Lerman, infatti, da l'idea di essere il prototipo del maschio in crisi che finge comportamenti da Casanova per nascondere la paura del dolore e della delusione che potrebbe provocargli il vivere una relazione senza scudi e senza armature. La stessa che era pronta ad abbracciare la Iris della Gordon, la quale subisce palesemente il contraccolpo emotivo, (re)agendo d'istinto e compiendo un gesto che rischia di metterla in una posizione pericolosissima, non appena sfugge di mano.
Il pregio maggiore, però, di "Ehi, Tu!" resta comunque la sua leggerezza, il suo lato folle, quello con cui non smette mai di maneggiare le tematiche di cui si fa carico e che sa benissimo di non avere la forza (narrativa) per poter approfondire (o risolvere) fino in fondo. Sostanzialmente, ciò che fa Brooks è limitarsi a portarle a galla, giocarci, mostrando la frustrazione e le nevrosi (e gli errori) di chi è costretto spesso a farci i conti (che sia vittima o carnefice). Il risultato è quello di un film d'intrattenimento piacevole e accattivante, al quale - proprio per questo - si perdonano facilmente persino quelle falle evidenti, impossibili da trascurare. E il merito va soprattutto alla vivacità, alla simpatia e all'esuberanza di Gordon - che avrete visto nella serie tv "The Bear", probabilmente - che trova qui la rampa di lancio ideale per mettersi in mostra - su vari livelli - e dare sprint alla sua carriera.
Trailer:
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