Still Alice - La Recensione

Operazioni cinematografiche come "Still Alice" somigliano molto a un modo furbo e intelligente di fare informazione, uno di quelli scorretti, per intenderci, tipo specchietto per le allodole.
Nella pellicola diretta a quattro mani da Richard Glatzer e Wash Westmoreland si parla infatti di Alzheimer, e se ne parla non con la volontà primaria di utilizzarlo come mezzo per raccontare un personaggio o la sua storia, ma con la sola e unica intenzione di evidenziare gli effetti letali e distruttivi di una malattia tremenda quanto incurabile.

Inutile sottolineare, dunque, lo sconforto e l'angoscia trasmesse sin dalle prime battute da una Julianne Moore come sempre impeccabile: fagocitata quasi immediatamente dal vortice spietato e rapidissimo di una malattia arrivata in età precoce, in una delle sue forme più rare e geneticamente trasmissibile ai suoi figli (grandi) con il cinquanta per cento delle possibilità. Tuttavia la scorrettezza individuata a mente fredda, a caldo, "Still Alice", non sembra mai manifestarla per davvero, merito della sua capacità di non uscire dal percorso designato e di rispettare con rigore le tre fasi di cui si compone: quella dedicata ai primi sintomi della malattia, l'altra, poco più lunga, arricchita di visite e test e il gran blocco successivo concentrato sul peggioramento mentale della protagonista, in costante perdita di ricordi e memoria e peso graduale - sia diretto che indiretto - per la sua famiglia. Non c'è mai infatti nella pellicola di Glatzer e Westmoreland un'attenzione alla Alice del titolo che vada al di fuori del momento presente, mai la sensazione che prima o poi si possa andare a scavare per sapere più della sua storia, di chi era in precedenza, dei suoi rapporti con il mondo. Ai due registi, è palese, interessa allora unicamente solo quella parte dedicata al suo combattimento, alla tenacia, all'ostinazione, caratteristiche con cui tentano oltre che di sensibilizzare, anche di catturare l'interesse di chi si trova a guardare.

Nonostante dia l'idea di essere molto impostato quindi, emozionalmente studiato, e più bravo a farsi carico del suo racconto clinico che narrativo, "Still Alice" riesce comunque però a mettere in piedi un paio di momenti potenti, validi a sfondare il suo vetro artificiale che lo accompagna e a fornire qualche vibrazione extra rispetto quella che è la sua operazione. Avere a disposizione un attrice enorme come Julianne Moore ovviamente gli da una gran mano e addirittura, vista la poca robustezza della sceneggiatura, il dubbio che con una maggiore attenzione in fase di scrittura l'attrice statunitense potesse finalizzare la sua interpretazione in maniera indimenticabile, sorge come un ipotesi concreta, in grado di andare assai oltre il sospetto soggettivo.

Ma, come detto, le conseguenze cinematografiche non sono affatto un cruccio importante per Glatzer e Westmoreland, che puntano invece più all'umanità e all'educazione verso una malattia che - come dice anche Alice stessa - si spera possa essere curata il prima possibile per salvare ogni generazione futura, privandola del dolore.
E così, per quanto il loro tentativo possa sembrare, per certi aspetti, poco leale e ricattatorio, alla fine contiene anche dei lati per cui sa farsi apprezzare. Lati che restano impressi nella mente e che quando vogliono sanno benissimo come martellarla.

Trailer:

Commenti