Operazione: U.N.C.L.E. - La Recensione

Nell'epoca dei franchise, dove il cinema cerca serialità e sicurezza di marchi in grado di assicurare profitti a lungo termine, Guy Ritchie vuole dire la sua, con una nuova creazione che lo rende indubbiamente più svincolato di quanto non lo fosse stato con "Sherlock Holmes".

Se quello infatti era un franchise che gli era stato commissionato e su cui aveva parziale diritto di parola, "Operazione U.N.C.L.E." è un progetto su cui Ritchie detiene la maggioranza esecutiva (la sua influenza parte dal soggetto, passando per sceneggiatura e regia), che può gestire e maneggiare con padronanza assoluta, ispirato, si, ad una serie televisiva di fine anni sessanta, ma non per questo impossibile da plasmare secondo le regole del mercato moderno e uno stile definito e accattivante. Potremmo dire, insomma, che "Operazione U.N.C.L.E." sia per Guy Ritchie ciò che "Kingsman: Secret Service" è stato per il suo strettissimo amico Matthew Vaughn: come se entrambi avessero deciso, di comune accordo, di assicurarsi un piano di riserva semmai i loro appigli più solidi dovessero complicarsi.
E come ogni piano di riserva che si rispetti, anche in questo non mancano lo studio a tavolino, i ragionamenti e quei spaccati fondamentali responsabili di attribuire carica alla trama, esaltandola con scosse d'azione energiche e spettacolari. Il marchio di fabbrica, insomma, resta ben riconoscibile, mentre la qualità tuttavia tende a lesinare: con America e Russia costretti a scendere a patti in piena Guerra Fredda e a collaborare attraverso i loro migliori agenti speciali per sventare la costruzione di un arma nucleare da parte di un'organizzazione criminale privata. Spunto semplice, non privo di ironia e modellabile nei modi più disparati, prendendo spunto dalle spy-story migliori e da quell'intrattenimento fumettistico così in auge attualmente.

Pensare alla Marvel guardando "Operazione U.N.C.L.E." del resto, può sembrare assurdo, ma non è neppure così complicato, e non solo per via di un Henry Cavill che sembra fare il riscaldamento per tornare a vestire, a breve, i panni di Superman (si, è DC Comics, ma la solfa è quella) nel sequel di Snyder. Il rimando al Marvelverse è costante, in particolar modo sotto l'aspetto umoristico, ovvero nella convivenza forzata tra l'americano Cavill e il russo Armie Hammer che nelle varie grane da risolvere mettono in evidenza la loro esperienza sul campo coltivando l'intramontabile gioco di chi ce l'ha più lunga. Lo spettacolo però non è un continuo rose e fiori e l'attenzione di Ritchie questa volta appare meno affilata di quanto ce la ricordassimo: a dimostrarlo è persino la sotto-trama romantica tra Hammer e Alicia Vikander, potenzialmente intrigante eppure cassata a data da destinarsi.
Discorso diverso invece per quanto riguarda il montaggio, probabilmente nota più positiva di questo ultimo lavoro, con la sequenza impeccabile dell'inseguimento di apertura e soluzioni fresche e simpatiche adottate in corso d'opera: come i tagli in stile scorrimento diapositiva e lo schermo diviso in stile "Hulk" di Ang Lee adoperato nella risoluzione conclusiva.

Il resto è un miscuglio di stereotipi e di certezze, condito da doppi giochi che diventano tripli e poi quadrupli e lo scontato rischio del mondo che potrebbe finire semmai i due anti-eroi dovessero fallire i loro compiti. Quello che la gente ormai è abituata a vedere, insomma, lo standard di un prodotto sempre uguale a sé stesso, ogni volta riconfezionato con carta diversa.
Ma per quanto ci riguarda, noi, avremmo preferito un nuovo "Rocknrolla".

Trailer:

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