Veloce Come Il Vento - La Recensione

Spunta un po' come un corpo estraneo, nel nostro cinema, una pellicola sulle corse come "Veloce Come Il Vento", neanche fosse un genere e uno spettacolo ad esclusivo appannaggio degli americani, troppo complesso e articolato da sostenere: dimenticando facilmente che la passione per uno sport come questo, in Italia, scorre praticamente da sempre e non per caso.

Per dirla alla Matteo Rovere infatti - regista della pellicola - "l'Italia è il teatro mondiale delle corse automobilistiche", per cui l'anomalia non è tanto l'essere tornati a raccontare quel mondo, quanto aver aspettato fin troppo tempo affinché ciò accadesse. A dimostrarlo è soprattutto il modo in cui adesso facciamo fatica a non guardare "Veloce Come Il Vento" come a qualcosa di positivo a prescindere, incoraggiandone l’ascesa, quasi a voler restituire a noi stessi fiducia verso un prodotto che a livello internazionale è stato così alterato da ritenere impossibile un suo degno ritorno all'altezza nel nostro panorama. Eppure non c'è errore più mastodontico da commettere se non quello di pensare a "Fast And Furious" o surrogati come riferimento principale del genere, visto e considerato che non sono i muscoli, i salti dai burroni, o dagli elicotteri, come nemmeno le rapine o il panico generato chissà dove, i tratti distintivi che segnano la riuscita o la disfatta di una pellicola come questa. Serve, più che altro, capacità nel trasmettere passione, nel trasportare lo spettatore all'interno di una disciplina articolata, sporca (in più di un senso), mostrandogli ciò che gli ruota intorno e cosa significhi prenderne parte. Una disciplina in cui al pilota non basta sentire quel bisogno di velocità incomprensibile che si trasforma in brivido lungo la schiena al ruggito dei motori, ma dove per competere è necessario duro allenamento, sacrificio e un pizzico di rischiosa incoscienza: l'unica che ti permette di sgombrare la mente e percepire l'aderenza delle gomme con l'asfalto, diventando corpo unico con il mezzo.

Un concetto mentale e spirituale, se vogliamo, in cui la differenza (nel bene e nel male) la fanno il carattere e l'istinto, il sangue freddo e la determinazione. Qualcosa di molto essenziale, insomma, meno spettacolare dal di fuori, ma assai più se ci sei dentro: e "Veloce Come Il Vento" pare averlo capito benissimo, aiutato forse dalla collaborazione e dai suggerimenti del meccanico Antonio Dentini che, da esperto ex-preparatore di auto da rally, ha fornito lo spunto reale per quella che poi è diventata una storia liberamente ispirata al talentuosissimo pilota degli anni '90 Carlo Capone: precisamente al periodo in cui svolgeva, nel mezzo della sua tossicodipendenza, il lavoro di allenatore per un'altra pilota. Episodio rivisitato, qui, in un dramma familiare dove un fratello tossico-dipendente decide di aiutare la sorellina minore, promettente pilota, a vincere il Campionato Italiano di Gran Turismo per far fronte ai debiti accumulati dal padre, appena stroncato da un attacco di cuore. Pretesto di partenza, sulla carta, sfruttabile in molteplici maniere, ma che gli sceneggiatori Filippo Gravino, Francesca Manieri e Matteo Rovere preferiscono non stressare troppo, lavorando su prototipi ben testati, per concentrarsi magari meglio sulle non poche difficoltà tecniche da fronteggiare su pista e dintorni. Manovra con la quale viene abbassato di gran lunga ogni rischio di finire fuori strada e di sbandare, favorendo un intreccio, per alcune dinamiche, prevedibile, ma che rende giustizia alle potenzialità e all'estetica ricercata e messa in mostra con abbondante competenza e dedizione.

Perché nonostante le sue piccole incertezze, "Veloce Come Il Vento" va a incanalarsi solidamente come un ritorno italiano di tutto rispetto al genere automobilistico: tra accelerazioni impreviste e attimi di prudenza che aiutano a rendere l’opera di Rovere un prodotto interessante, curato e sicuramente eseguito con grande passione.
La risposta che quando c’è voglia e interesse nel voler realizzare qualcosa, il nostro cinema ha ancora tutte le carte in regola per far la voce più o meno grossa.

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