Sieranevada - La Recensione

Avete presente le feste comandate? Quelle che passate in famiglia durante l'anno? Natale, Pasqua? Bè, in un certo senso "Sieranevada" è un po' come partecipare ad una di esse. Da spettatori però.

Nel film di Cristi Puiu la faccenda è un tantino meno allegra: il periodo è Natale, ma in ballo c'è una commemorazione, una sorta di celebrazione di un defunto a qualche giorno (settimana, meglio) di distanza dal suo trapasso. A partecipare sono i parenti stretti, gli amici, mentre si attende il lungo arrivo di un prete ritardatario che, per dirla come uno dei presenti, deve fare il suo spettacolino prima di chiudere i preamboli e lasciare che ci si dedichi spensieratamente al ricco pranzo organizzato. Nel frattempo, quindi, bisogna temporeggiare, ingannare l'attesa (e la fame), chiacchierando di argomenti appartenenti al classico "tutto e niente", ma anche discutendo su questioni assai più delicate come, per esempio, la strage di Charlie Hebdo, o, meglio ancora, il complottismo che ruota intorno all'attacco terroristico dell'11 Settembre: intorno al quale, pare, esistano ancora elementi poco nitidi o irrisolti. Ma questo non vuole essere un pretesto per fare luce su chissà che cosa, sia chiaro, il regista rumeno non ha nessuna opinione a riguardo, né tantomeno ha scoperto nulla di scandaloso che valga la pena condividere con noi. Si tratta più che altro di un tentativo umano di rompere il ghiaccio, di coprire i silenzi, di intrattenersi fronteggiando un momento di stallo dal sapore infinito attraverso il comune scambio verbale di chi, come noi, in fondo ha dei bisogni e delle urgenze da tirar fuori e condividere. Possono essere scontri generazionali tra chi vorrebbe ancora che in Romania ci fosse la Monarchia e ce l'ha a morte coi comunisti che la pensano al contrario, faccende private di chi, semplicemente, si lamenta del proprio marito violento e fedifrago che la fa stare male, o leggerezze di maturità che non frenano un'adolescente a portare in casa, a funzione in corso, un'amica ubriaca e svenuta, per assisterla nella ripresa.

Tutto e niente, insomma, come nella realtà, non a caso, spesso, si ha la sensazione di partecipare più ad un documentario che ad un opera di finzione. Già perché Puiu gira costantemente con cavalletto fisso in un punto della stanza, muovendosi da sinistra a destra e viceversa e, raramente, in alto e in basso e viceversa: realizzando piani sequenza continui capaci di non far distogliere l'attenzione e di sorprendere per verità e per naturalezza. Si muove in tre ambienti, la casa in cui si svolge praticamente il 90% della storia e poi due esterni, la strada e l'interno di una macchina (una volta in movimento, una volta parcheggiata), servendosi dei suoi (tanti) personaggi per mettere a fuoco, oltre che il suo paese, la società moderna, la paura che la abita e l'informazione frenetica, che il più delle volte specula o, magari, viene snobbata e ignorata dalla massa. Perché è vero che tendenzialmente in "Sieranevada" ci sono quei discorsi di circostanza che conosciamo tutti, ma è altrettanto vero che da quelli, solitamente, è possibile anche intravedere molto di una condizione e della piega presa dalla civiltà in generale, estendendo la questione ben oltre il territorio circoscritto e toccando culture simili, diverse, vicini come distanti.

E allora è proprio questo, alla fine, a rendere il lavoro di Puiu delizioso e persuasivo. Quella spontaneità mai messa da parte a cui, pian piano va ad aggiungersi volontariamente - o forse involontariamente - un improvvisazione che aiuta a cambiare peso ad un clima tesissimo, apparentemente irreparabile, gonfiato dagli eventi. Alleggerendo di netto, con una facilità assurda, il terremoto famigliare scatenato, grazie all'utilizzo e alla potenza micidiale di quella risata che, se giocata con perizia, sa fare miracoli annullando ogni crepa.

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