Indivisibili - La Recensione

Indivisibili Edoardo De Angelis
Dasy e Viola sono due gemelle siamesi trasformate dai loro genitori in due fenomeni da baraccone. Cantanti neomelodiche per eventi più disparati come professione principale, ma anche simbolo di miracolo, di religiosità e di speranza per la Chiesa e i suoi credenti. A volte le due cose si incrociano nelle ospitate a cui prendono parte girando in lungo e in largo per una Caserta povera e trasandata, quella che “Indivisibili” sceglie come ambientazione unica per rafforzare la condizione di prigionia e malessere delle due ragazze-sorelle: supervisionate da una famiglia allargata, capitanata da un padre padrone e manager e da un prete che le noleggia per rafforzare la sua posizione e la sua parola.

Il dramma della pellicola diretta da Edoardo De Angelis, allora, non risiede tanto nelle complicazioni fisiologiche di una separazione possibile - anche se da sempre nascosta per motivi di denaro - che le due ragazze (una in particolare) ad un certo punto decidono di voler eseguire contro tutti e tutti, quanto in quelle economiche e di equilibrio che andrebbero a scatenarsi in seguito, se l’operazione andasse in porto, all'interno del loro nucleo famigliare, nonché, di riflesso, in quello ecclesiastico di spettacolo, nel quale accordi e operazioni commerciali fanno da padrone e da muro maestro. Quell'essere indivisibili dato per scontato, quindi, assume ad un tratto un significato deforme, ingiusto, connesso non più alle regole crudeli e superiori della natura e della genetica, ma a quelle di un mondo che letteralmente ha deciso, prepotente, di cibarsi dell’handicap delle due protagoniste, non volendo in assoluto smettere di nutrirsene. Un incipit molto interessante, in cui la mano di Nicola Guaglianone – uno dei tre sceneggiatori di “Lo Chiamavano Jeeg Robot”, qui affiancato da Barbara Petronio e dal regista stesso – sicuramente si sente forte e compie la differenza, permettendo a De Angelis di potersi muovere lungo un percorso infinitamente vasto, originale e stimolante come, forse, mai prima d’ora gli era capitato di fare.

Indivisibili Dasy ViolaMette in ballo tanti argomenti “Indivisibili”, infatti, dalla povertà delle periferie in cui sopravvivere è questione di arrangiamento e fortuna, al concetto di diversità, che oggi può assumere, in determinati casi, un’accezione piuttosto rovesciata, fungendo da punto di forza, anziché da punto debole. Non a caso, in una scena specifica, messo alle strette, il padre di Dasy e Viola lo dice chiaro e tondo alle figlie: “Là fuori la gente normale fa la fame!”, sottolineando proprio quanto sia tutt'altro che intelligente, da parte loro, il volere uscire fuori da un circo equestre pagato a peso d’oro da quel giro estremamente decadente, ma ricco che frequentano, solo per entrare a far parte dell'intimo di un mondo reale che il più delle volte è disposto, al massimo, a prenderti a calci in faccia e a ignorarti. E di calci in faccia ne ricevono molti le due ragazze, in effetti, dal momento in cui stabiliscono di voltare le spalle al cinismo, gli inganni e l’oppressione di una famiglia brutta, sporca e cattiva, per fuggire di nascosto e andarsi a prendere quel futuro che sentono (in modi diversi) appartenergli, rompendo finalmente la protezione di vetro che la famiglia gli aveva costruito intorno sin da bambine e scontrandosi con una verità tagliente e ancor più amara, perché schietta e non filtrata.

Una strada che De Angelis sceglie di intraprendere, tra le tante, per esplorare da vicino, con primi e primissimi piani, una maturazione e un conoscimento personale la cui miccia viene accesa dall'impossibilità di evasione da un luogo che somiglia a un carcere, piuttosto che a un castello gigantesco disegnato da Escher. Per fare ciò deve rinunciare però all'altra possibilità, quella che avrebbe portato subito al raggiungimento dello scopo principale per andarne, poi, a spiare da vicino i sapori e le conseguenze. Ma, invece, "Indivisibili" preferisce tornare a flirtare con il simbolismo religioso, cattolico, e stavolta sul serio, allestendo un finale decisamente duro e avvilente, che, visto dalla giusta distanza, è forse quello maggiormente idoneo a raggiungere il pubblico per colpirlo allo stomaco e, infine, scuoterlo. Non solo sentimentalmente.

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