The Disaster Artist - La Recensione

The Disaster Artist Film
A vederlo “The Room” non sembra affatto il peggior film mai realizzato al cinema. Certo, è molto brutto ed estraneo ad ogni minima preparazione o regola cinematografica di base, ma da qui a conseguire un record del genere, a suo modo importante, diciamo che ce ne passa. Quello che traspare però - e fortissimo - guardando (tutta) la storia scritta da Tommy Wiseau – che è apertamente ispirata alla sua vita personale - è quanto l’uomo (non tanto l’artista) si sia sentito ad un certo punto della sua vita emarginato, solo - come ripete spesso nelle sue battute - tradito (dal mondo).

Ed è questo, fondamentalmente, l’aspetto che deve aver interessato di più a James Franco quando ha deciso di entrare (perfettamente) nei suoi panni e dirigere un’opera che andasse a scavare più a fondo, un’opera che raccontasse il Wiseau più intimo, già ferito e chiuso, e il suo (conflittuale) rapporto con gli altri (in particolare col suo migliore amico e coinquilino Greg Sestero: scrittore del libro da cui sono tratti gli aneddoti qui narrati). Parliamo di una persona inconfondibile, non mimetizzabile tra la folla; una persona che - nel suo tentativo di voler sfondare nel mondo del cinema, di riscattarsi – quando gli andava bene, anziché ricevere risa e insulti per le sue interpretazioni, portava a casa il consiglio di provare a cimentarsi con i villain: del resto erano in molti a soprannominarlo “il Vampiro” o “il figlio di Frankenstein”, per come andava in giro e amava vestirsi. Peccato che, per sé stesso, Wiseau non vedeva altro che ruoli positivi, sensibili e intorno a sé non riusciva a percepire altro che incomprensione, tanto da ribellarsi al sistema hollywoodiano che continuava a scartarlo, reinventandosi produttore e scrivendo su due piedi una sceneggiatura (infantile) che - nella sua testa almeno - avrebbe dovuto smentire tutti, consegnandogli il successo e la fama che meritava.
Nasce così allora il famoso (ormai) “The Room”, così e con un budget di circa sei milioni di dollari che Wiseau ha tirato fuori di tasca propria attingendo da un fondo - a quanto pare, senza fondo - di cui nessuno ancora oggi sa nulla, allo stesso modo di come non si sa nulla nemmeno del suo reale luogo di provenienza (ripete New Orleans, nonostante un accento che lo smentisca sul colpo). Un progetto nato quindi di prepotenza, portato avanti con ignoranza e gestito con l’arroganza di chi - senza sapere davvero di cosa stesse parlando – non aveva vergogna a paragonarsi a Kubrick o a Hitchcook.

The Disaster Artist FilmNon poteva che venir fuori una commedia, pertanto, da “The Disaster Artist”, una di quelle in cui si ride molto, in qualche occasione anche di gusto, e dove la personalità di Wiseau sale in cattedra rendendo chiarissimo il prologo di attori e registi famosi, intervistati, che non fanno altro che ripetere quanto gli sarebbe piaciuto vivere l’atmosfera di un set (peraltro meno facile del previsto) come quello. Eppure c’è dell’altro. Sepolto, neppure troppo a fondo, nel terreno comico della pellicola infatti Franco inserisce una serie di riflessioni, per nulla scontate, relative al rapporto tra successo e talento e ai principi che, di fatto, comandano all'interno di quell'industria – appunto – chiamata Cinema. Quesiti che, considerando la cassa di risonanza, la gestazione e il percorso di “The Room” e, infine, il destino del suo autore, vanno per forza di cose a scontrarsi con le massime della logica e del buon senso, stravincendo, tuttavia, la partita e ribaltando ogni pronostico.

Oggi, del resto, Wiseau non è un premio Oscar come avrebbe voluto (e creduto), ma il suo denaro, la sua superbia e una grande dose di fortuna – se la vogliamo chiamare in questo modo – lo hanno portato ad essere comunque la star che – diversamente - sognava di diventare. Ha comunicato al mondo intero la sua sofferenza, il suo dolore, colmando quel bisogno di affermarsi (ed essere?) brava persona che, altrimenti, sarebbe rimasto incompreso e lo avrebbe torturato, forse, per sempre. Si è reinventato autore (s)cult; la Storia Americana che lo ossessionava e voleva realizzare, arrivando a calcare, seppur con ritardo, quei tappeti rossi e quelle cerimonie di premiazione che sentiva di meritare di diritto.
Insomma, ridendo e scherzando, alla fine Wiseau non era esattamente un pazzo scatenato.

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