[Belli e (im)Possibili] Sorry To Bother You - La Recensione

Sorry To Bother You Film
In rete l’hanno etichettato chi come il fratellastro, chi come la variante, chi come il successore di “Scappa: Get Out”: ingannati, forse, dalla presenza del protagonista Lakeith Stanfield, che nella pellicola di Jordan Peele era una delle vittime del macabro esperimento posto al centro della storia.
Macabro esperimento che non manca, ad essere sinceri, neppure a margine (è il colpo di scena che aprirà il terzo atto) del “Sorry To Bother You” diretto dall'esordiente Boots Riley, il quale, però, se ne serve per estremizzare dei ragionamenti assai più complessi e curiosi (e verissimi), che vanno ben oltre la questione razziale (comunque accennata), toccando trasversalmente l’intera società.

Lo spunto arriva dall'esperienza personale fatta da Riley in alcuni call center in California, dove gli consigliarono di esercitarsi a fare una voce più da bianco, per evitare che dall'altra parte gli attaccassero il telefono in faccia e avere, quindi, più possibilità di chiudere contratti. Consiglio che comincia a seguire anche il suo alter ego sullo schermo, Cassius "Cash" Green, raccogliendo risultati insperati e passando rapidamente ai piani superiori della sua azienda con la nobile qualifica di Power Caller. Questo mentre i suoi ex colleghi danno vita a una protesta che li vorrebbe meno schiavizzati e più partecipi dei profitti di cui sono responsabili e la multinazionale WorryFree continua ad espandersi, lucrando sulla disperazione dei più poveri, proponendo loro alloggio e pasti, in cambio di un contratto a vita che li vedrebbe vivere nello stesso spazio in cui andrebbero a svolgere determinate mansioni. Una nuova forma di schiavitù, insomma, basata non più sul colore della pelle, bensì su classe sociale, e figlia di un sistema capitalista che ha con sé l’unico obiettivo di abbassare i costi di produzione, aumentando il fatturato e, se possibile, la durata di manovalanza e di forza lavoro che un essere umano standard, di solito, è consono a restituire.

Sorry To Bother You RileyIl concetto è chiaro, allora, metaforico per certi aspetti, ma ugualmente in grado di essere afferrato, masticato e, infine, compreso. Le distanze tra ricchi e poveri si stanno allargando, gli impieghi disponibili per il ceto medio stanno abbassando notevolmente dignità e profitti, mentre le prestazioni richieste a chi vorrebbe provare a sbarcare il lunario, raddoppiano il carico, con l’aspirazione di riuscire a triplicarlo, magari, in futuro (stringendo ulteriormente i tempi, se plausibile). Un’analisi pungente, e per nulla utopistica, che “Sorry To Bother You” si diverte a rendere ancor più grottesca e cupa attraverso dei toni umoristici che vanno a sfociare, poi, in un horror dal retrogusto leggero, farsesco e folle. L’evoluzione – o la perdita di controllo - del sogno americano che dovrebbe fare rima con quello di una specie – la nostra – che se vuole stare al passo col successo e col benessere economico deve adeguarsi a trottare, spingere e fornire nuovo significato ai concetti di vita, valori e lavoro. Questo a meno che una ribellione non decida, presto, di metterci una pezza, arrestando la corrente.

Perciò, no, non date retta a chi sostiene – sempre in rete - che la pellicola di Riley sia di stampo troppo statunitense per varcare alcuni confini. Al limite sarà complicata da tradurre nei dialoghi (per il doppiaggio), ma se vista con un cervello attivo e partecipe può tranquillamente inserirsi senza problemi in quel filone indipendente e originale che, seppur in un numero esiguo di copie e titoli, ogni anno arriva puntuale nelle nostre sale.
Cervello attivo e partecipe che, peraltro, sarebbe indispensabile, anche, per contrastare le inquietanti ipotesi, qui, delineate.

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