I Morti Non Muoiono - La Recensione

I Morti Non Muoiono Jarmusch
Uno zombie-movie, certo. Ma pure una riflessione a tutto tondo sulla società contemporanea.
Non è il primo e non sarà neanche l’ultimo Jim Jarmusch a utilizzare il suddetto genere per il bisogno di comunicare qualcosa, di metterci allo specchio, estremizzando una situazione che comunque non è poi così lontana da quella reale.

Perché se il fricking dei poli che ha spostato l’asse terrestre, rianimando i morti a Centerville, nella realtà che stiamo vivendo non è ancora accaduto, il riscaldamento globale è forse la cosa che più gli si avvicina, così come tante altre dinamiche e comportamenti che è possibile carpire piuttosto velocemente di fronte ad un film diretto e (sotto-sotto) aspro come lo è “I Morti Non Muoiono”. C’è Steve Buscemi, per esempio, che gira con in testa un cappello con su scritto make America White again; che chiama il poliziotto Bill Murray per denunciare un barbone di furto, pur non avendo prove, e che quando è attaccato dagli zombie – palesemente simili a degli zombie – cerca di farli arretrare a colpi di fucilate e frasi razziste come fossero degli immigrati (messicani?). Il messaggio è piuttosto chiaro, insomma. Jarmusch è preoccupato. Per l’America, ovvio, ma anche per il pianeta Terra e per noi esseri umani. E nonostante ciò non gli abbia fatto perdere la voglia di scherzare, di strapparci (e strapparsi) una risata – facciamo più di una, anzi – e di deliziarci con personaggi postivi, buoni, in grado di proteggere fino alla morte la loro indole, battendosi per il prossimo, è altrettanto vero che a entrare in gioco, adesso, è una corposa dose di cinismo che va a trafiggere si, chi teoricamente se lo merita (e non merita di avere una seconda chance), ma che finisce col portarsi dietro, inevitabilmente, qualcos'altro.

I Morti Non Muoiono Jarmusch Wi-Fi. Caffè. Tv via cavo. Smartphone.
Sono alcune delle parole ripetute dai non-morti non appena riprese le loro funzioni vitali. Un tormentone stabile e ininterrotto che sta un po’ lì a provocare e un po' a rivelare che quegli zombie, in verità, siamo noi. Da vivi, però. In questo momento. Diventa leggermente didascalico, allora, Jarmusch e prima di chiudere la sua pellicola lo diventerà addirittura più di quanto avremmo potuto immaginare (e sopportare) da lui. Questo potrebbe apparire come un difetto, per certi versi, ma se si entra nella sua visione delle cose (attuale), non si fa poi così fatica a comprendere che quella di essere esplicativi, e ai limiti dello scolastico, è presumibilmente l’unica via da percorrere per chi vuol provare a farsi capire da un pubblico che zombie non è, ma che tuttavia si ostina a non reagire e, quindi, a comportarsi come tale. Del resto che “I Morti Non Muoiono” sia, in prevalenza, una pellicola particolare, alla ricerca disperata di una connessione con le anime e le coscienze di chi la guarda, lo testimonia persino la presenza di un metacinema che, inaspettatamente e a gamba tesa, va a rompere la finzione e a rinforzare il concetto secondo il quale è tutto finto, ma relativamente.

Se non ci impegniamo a fare del nostro meglio, difficilmente riusciremo a sopravvivere.
Un discorso – esplicito - che vale per i protagonisti del film di Jarmusch, tanto quanto per coloro a cui è destinato. E l’intento del regista non è quello di fare politica, di salire sul piedistallo e mettersi a fare il professorone, perché altrimenti l’ironia, il nonsense e la miriade di riferimenti cinematografici (azzeccatissimi) di cui si fa carico non ci sarebbero mai entrati nel suo copione. No, ciò che muove il Jarmusch-uomo è solamente il bene, quello che vuole a noi, quello che vuole al cinema e quello verso un pianeta che se non cominciamo a proteggere, un giorno, potrebbe impedire a tutta questa bellezza di continuare (vedi una conclusione che più azzeccata e coerente di così non poteva essere).

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