Mademoiselle - La Recensione

Mademoiselle Park Chan-wook
Non c’è che dire il cinema orientale, attualmente, ha una marcia in più.
Ce l’ha perché non ha paura di spingere, di sperimentare; perché può contare su una colonna portante di registi (e autori) che sanno dove mettere e come far muovere la macchina da presa, e nessuno di questi ha esitazioni nel raccontare storie che, in qualche modo, pur non prendendolo di petto, fotografano lo stato recente di un paese (o magari due).

E allora ecco che, come nel “Parasite” di Bong Joon-ho – che però è arrivato cronologicamente dopo – anche Park Chan-wook ci trascina all'interno di una compagnia – che poi compagnia non è – di miserabili, di truffaldini; una compagnia dove a dettare le regole è un uomo apparentemente benestante che adora organizzare truffe e sfruttare asservite alla ricerca di denaro per allestire piani più complessi, a cui non bastano le sue abilità da Casanova per essere portati a termine. E il piano di “Mademoiselle” prevede che una di queste ragazze vada alla corte di una ricca e giovane ereditiera, per farle da balia e sostenere lui dall'interno non appena si paleserà per corteggiarla e, infine, chiederla in sposa: mettendo le mani sul suo inestimabile patrimonio e liberandosi, poi, di lei facendola passare per pazza e sbattendola in manicomio. Dopo la parentesi (ottima) americana di “Stoker”, dunque, Park ritorna nel suo paese di origine – quella Corea del Sud che è anche patria di Bong – e lo fa adattando il romanzo Ladra della scrittrice inglese Sarah Waters: un’opportunità che gli consente di mettere insieme gran parte – se non tutte – delle caratteristiche che contraddistinguono il suo cinema e realizzare una pellicola affascinante, esteticamente ineccepibile, ma anche assai coinvolgente per via dei numerosi ribaltamenti e colpi di scena.

Mademoiselle Park Chan-wookDiviso in tre capitoli, infatti, in “Mademoiselle” nulla va mai dato per scontato.
Inizialmente pensiamo che il punto di vista dal quale apprendere la vicenda sia solo quello della (finta) ancella reclutata e proclamata serpe, ma poi, quando il mistero si infittisce e si fa più torbido, capiamo che le carte in tavola sono decisamente maggiori di quelle che avevamo contato e che senza la seconda campana, legata alla versione dell’ereditiera, probabilmente, non sarebbe stato possibile arrivare a quella terza (di campana) che serve a mettere a posto il disordine (o a confondere l’ordine, fate voi) e a convergere in direzione di coerenze etiche e rivalse necessarie. Perché nonostante si tirino in ballo gli inganni, il potere (maschile e femminile), la violenza e il sesso (esplicito, lesbo e sadomaso), quello di Park resta un film che punta dritto verso l’amore, il sentimento; che della distanza tra classi ne parla con qualche citazione o dialogo, ma non entra mai nell'esame scientifico della tematica, tanto è preso a stare attaccato alle inclinazioni, pulsioni e deviazioni dei suoi protagonisti.

Nessuno stravolgimento alla sua filmografia, quindi, per il regista; nessuna aggiunta di tasselli ulteriori o atipici, eppure questo suo tornare agli antipodi e riaccarezzare – con veemenza, pure – certi contenuti non ha minimamente il suono di qualcosa di antiquato. Sarà puro intrattenimento e basta, magari, ma condito come meglio, francamente, non si potrebbe chiedere.

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