The Gentlemen - La Recensione

The Gentlemen Poster Film
Personalmente l’ultima volta che avevo visto all’opera Guy Ritchie, mi era apparso irriconoscibile. Il fantasma di sé stesso. Era l’anno scorso e lui era stato chiamato dalla Disney per dirigere la versione live-action di “Aladdin”: sulla quale sorvolerei ogni commento.
Così, quando ho visto il trailer di “The Gentlemen” – e ho notato che era tornato su territori a lui, sicuramente, più congeniali – ho cominciato a nutrire nuovamente una certa curiosità – dettata anche dal cast strepitoso – e a pensare che potesse essere per lui una sorta di riscossa, di resurrezione.
L’ennesima per quanto lo riguarda.

Forse mi sbagliavo, però.

Perché evidentemente Guy Ritchie si è stancato di essere Guy Ritchie; di fare quei film che, in sostanza, sono surrogati dei suoi successi più grandi e sentire il suo pubblico esclamare frasi del tipo: “Si, è tipo “Lock & Stock”, anche se non allo stesso livello!” (e al posto di quel titolo potreste inserirne un altro, ma il succo rimarrebbe lo stesso). Così con “The Gentlemen” pur restando aggrappato al quel genere – quello dei gangster, delle truffe e di personaggi che hanno saputo, o che sanno, raccogliere oro dal niente che li circonda – il tentativo del regista è quello di sperimentare ancora, magari evitando stavolta che la sua aura sparisca completamente, come accaduto nel viaggio ad Agrabah. Per cui – e col senno di poi – ci può stare se all’inizio l'impressione è quella di vederlo trasformato nel cugino di sé stesso; se il ritmo della storia – semplice, ma complicata al montaggio – appaia pesante, confuso, ingiustificatamente disordinato. Bisogna aspettare che sia lui per primo a fare mente locale, a orientarsi in questa nuova versione pulp che proprio a Tarantino sembra voler guardare, andando a rubare – anche palesemente – l’idea per alcune brillanti scene. Sparisce, allora, quel montaggio accelerato (e decelerato) a cui – almeno per quanto mi riguarda – eravamo tanto affezionati (e col quale lo contraddistinguevamo), per favorire una narrazione dal flusso totalmente anarchico e irregolare: paragonabile a una favola per bambini, col personaggio di Hugh Grant a fare da padre e quello di Charlie Hunnamn a fare da figlio.
Ma un figlio grande e grosso, uno che alle favole ormai ci crede poco.

The Gentlemen RitchieDel resto, quella riportata, è una versione della storia piuttosto fedele a quella che sarà poi l'originale, ma con delle ricostruzioni basate su intuito, ingenuità e sottovalutazioni, commesse da parte di chi la racconta. Si tratta della storia di un passaggio di consegna – la produzione di marijuana – che avrebbe dovuto essere lineare, ma che qualcuno – e non è nemmeno difficile capire chi, onestamente – per motivi di denaro e di potere, ha preferito complicare, tirando dentro nuove pedine che a loro volta hanno scomodato altre pedine, creando così un doppio, triplo e quadruplo gioco, al quale serve un pizzico di concentrazione da parte nostra per stare al passo. Una spy-story che per qualcuno – gli abbonati alla categoria, per esempio – sarà fin troppo agevole risolvere con largo anticipo rispetto al traguardo, ma che proprio per questo fa della caratterizzazione dei personaggi, dei dialoghi e dell’ironia le sue armi principali: utili sia per esaltarsi in determinati momenti e sia per recuperare da quei cali di ritmo in cui Ritchie ogni tanto incappa, uscendone spesso con un pizzico di ritardo di troppo.

Come nei migliori primi tentativi qualcosa da migliorare c’è, dunque.

Ma pur non toccando alcuna vetta, questo “The Gentlemen” potrebbe assumere delle vesti piuttosto importanti per quanto riguarda il percorso artistico del suo regista. È presto, ovviamente, per poterne parlare in maniera ufficiale, eppure, se due indizi fanno una prova – includendo “Aladdin” – potremmo cominciare a pensare a un futuro dove il cinema di Guy Ritchie non sarà più catalogabile come il solito cinema di Guy Ritchie.
Lo so, sembra caotica come chiusura, ma è il caso di abituarsi, mi sa…

Trailer:

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