Matthias & Maxime - La Recensione

Matthias & Maxime Dolan
Tentato un passo che si è rivelato più lungo della gamba – non tanto come valore effettivo dell’opera, quanto come gestione e capacità di messa a fuoco della stessa – a Xavier Dolan non restava che una sola possibilità: rischiare il meno possibile.
Rilanciarsi con un film piccolo, intimo, che andasse a sviluppare i temi che più gli appartengono e che lo toccano da vicino, limitando al minimo qualsiasi slancio artistico avente una percentuale troppo alta di rischio e prediligendo un medley pratico a convincere la sua fetta di pubblico maggiormente fidelizzata.

Il risultato di questa elaborata equazione porta il nome (anzi, i nomi) di “Matthias & Maxime”: due amici d’infanzia – il secondo interpretato proprio da Dolan, mentre il primo da Gabriel D'Almeida Freitas – che si ritrovano, casualmente, a dover sostituire due attori per un cortometraggio scolastico che la sorella di un loro amico deve girare durante il week-end di una grande e vivace rimpatriata. Ignari entrambi che nella scena che li riguarda è previsto un bacio saffico che provocherà imbarazzo generale all'inizio, ma soprattutto una serie di strascichi e di dubbi relativi alla loro identità sessuale – fino a quel momento (quasi) rigorosamente etero – più avanti. Una specie di (lungo) prologo che apre le porte a quello che poi diventerà il traguardo della pellicola, ovvero il conto alla rovescia verso il trasferimento – annunciato durante la rimpatriata – di Maxime, con destinazione Australia. Praticamente il gong che potrebbe reprimere definitivamente quel (presunto) sentimento (amore?) ambiguo, che continua a pulsare e a ingarbugliare la testa (e nel cuore) dei due uomini: mettendone a repentaglio relazioni, quotidianità e allontanandoli più di quanto i loro progetti personali abbiano già previsto. E caricando anche di impaccio e nervosissima tensione l’amichevole festa d’addio programmata a ridosso della cruciale partenza.

Matthias & Maxime FilmHa bisogno di calore, di sicurezze, di bilanciare il peso delle proprie responsabilità, il Dolan autore, in questo momento. O perlomeno questo è ciò che traspare da una pellicola che si rifugia spesso a riprendere scene di massa, caotiche: dove a venir fuori è la leggerezza, l’entusiasmo di amicizie solide, sincere, consolidate nel tempo. E questo pure a discapito, magari, di determinate regole: come quelle che – in un intreccio come questo – consiglierebbero di dedicare ulteriore spazio alle esistenze private dei due protagonisti; di scavare più a fondo su di un passato (che si scoprirà essere) assai determinante, chiarificando eventuali ferite e – perché no – la stabilità di certi legami. Impiega più del dovuto a centrarsi “Matthias & Maxime” invece, tant'è che per buona parte l’impressione è che si fatichi davvero a capire dove voglia andare a parare, salvo poi afferrarlo e rendersi conto di quanto meglio avrebbe potuto fare se avesse rinunciato a molti di quei ghiribizzi sorvolabili (per quanto spontanei, sia chiaro), utili solo a rendere il tutto più dispersivo.

E così, quello che doveva rappresentare il rilancio, il movimento necessario a rimetterlo in piedi, diventa per Dolan - se possibile - un passo falso peggiore del precedente. Perché se in quel caso a remargli contro era stata la grandezza, l’ambizione di un progetto per cui valeva la pena, comunque, rischiare ogni cosa, stavolta a condannarlo è un basso profilo che resta tale troppo spesso e troppo a lungo. Alzando la testa in un terzo atto che, non a caso, resta la nota più positiva (e promettente), ma che non può farcela a tenere in piedi l’intera baracca.

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