Smetto Quando Voglio - La Recensione

Breaking Bad, The Big Bang Theory, Romanzo Criminale.
E poi l'Italia, il precariato, la crisi.

No, non è un indovinello, non c'è da scovare nessun intruso, è la formula scientifica che il giovane autore (stavolta forse è il caso di dirlo) Sydney Sibilia ha utilizzato per mettere in piedi il suo primo, caleidoscopico, lungometraggio: avvalendosi di un fatto di cronaca realmente accaduto - quello legato alle Smart Drugs, ovvero alle droghe non ancora (ri)conosciute dalla legge e, quindi, legali - e rubacchiando spunti un po' qui e un po' la. 

E così sboccia neanche fosse un little Frankenstein, questo "Smetto Quando Voglio", ottenendo i tratti di una creatura dai lineamenti non troppo marcati, ma levigati e un estetica sporca, ma affascinante. Che il talento facesse parte dei connotati di Sibilia si era già notato visionando i suoi tre cortometraggi: determinanti, tra l'altro, per affrontare una storia come questa che si interseca coerentemente col percorso da lui iniziato. Ridere con la realtà, è questo il motto. Una realtà che sa essere più surreale, spesso, della fantasia più eccentrica, e che sa regalare senza troppi sforzi gli spunti per dei racconti ai quali è sufficiente, infine, donare un minimo di ironia, necessaria a farli camminare soli. Ed è semplicemente ciò che "Smetto Quando Voglio" compie: spiccando il volo e distaccandosi dalla massa delle altre commedie italiane industrializzate e impaurite nell'affrontare il salto nel vuoto. Perché seppur quello di Sibilia potrebbe essere considerato, per certi versi, un salto nel vuoto con paracadute, bisogna ammettere che un bel brivido lo restituisce, eccome. Non lungo quanto si vorrebbe, magari, ma vista la situazione che affligge questo genere di prodotti, da considerare tutt'altro che sgradito. Impossibile, infatti, trovar paragoni recenti a cui affiancare la pellicola. Al massimo, quello a cui se vogliamo si avvicina di più è "Boris: Il Film": e non solo per la presenza nel cast di Pietro Sermonti, Valerio Aprea e Paolo Calabresi, ma per via dell'impronta grottesca, misera e tetra che fa del nostro paese (un luogo sempre più in caduta libera e spaventato dai laureati).

Insomma, la fotografia dai colori saturi - volontariamente scelta da Sibilia per dare un tocco digitale innovativo - fa il paio con l'esaurimento popolare di chi è stufo di essere maltrattato e sfruttato da coloro che, invece, continuano a ingozzarsi e a vivere egoisticamente. Perché fa ridere "Smetto Quando Voglio", è vero. Come è vero, tuttavia, che sotto ogni risata c'è quella punta di amarezza, sollecitata dalla paura: la paura che davvero la delinquenza - in qualunque forma - possa diventare l'unica svolta decisiva per i giovani (e non solo) di questo paese; la paura di un Italia cristallizzata, sorda e in stato shock e depressione, ma soprattutto la paura di non riuscire a dare il giusto spazio ad altri autori così interessanti, per una questione di pura testardaggine e di mancata fiducia.

Per tutti questi motivi (e molti di più), dunque, quello di Sibilia va assolutamente letto come un esordio non strabiliante, magari, ma certamente promettente e da non sottovalutare.
Cattivo e audace al punto giusto e al quale speriamo possa esserci in futuro, oltre che florido seguito, persino un principio di emulazione e di sostentamento.

Trailer:

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