Boyhood - La Recensione

Parlando di "Boyhood" è assolutamente necessario menzionare il progetto incredibile messo in piedi da Richard Linklater, un progetto talmente rivoluzionario al punto da essere classificabile come unico prima ancora di vedere luce. Perché per realizzare la pellicola è servita una gestazione di ben dodici anni (2002 - 2013) e non a causa di problemi produttivi o burocratici, ma esclusivamente perché il regista aveva intenzione di mostrare l'invecchiamento dei suoi attori (e in particolar modo del giovane protagonista) in maniera reale e non attraverso trucchi di make-up o variazioni di casting.

Prima di tutto allora "Boyhood" si pone come qualcosa di inedito e di pazzesco, sia dal punto di vista ideale, sia nella volontà di perseguire una sfida che nessuno ha mai tentato in precedenza, ovvero quella di portare il flusso del vivere all'interno di quel meccanismo di finzione di cui un mezzo come il cinema non può assolutamente fare a meno. Infatti la struttura di una sceneggiatura artificiale, incline con le tendenze linklateriane, "Boyhood" ce l'ha e, per evidenti ragioni, non può neppure levarsela. E' qualcosa di indispensabile, che gli serve per arrivare al punto, costruita tra l'altro secondo i tracciati di quella famosa trilogia romantica che il suo regista conosce benissimo e a cui stavolta ha voluto dare però epilogo differente: uno di quelli in cui la coppia scoppia, pur non smettendo di restare vicino ai propri figli, volendogli bene e prendendosene cura. Figli che, appunto, in questo contesto assumono il centro dell'azione, nello specifico attraverso il personaggio di Mason - interpretato dall'attore Ellar Coltrane - occhio principale degli eventi nonché di quella crescita temporale fulcro della pellicola.

Imprescindibile perciò non discutere di cambiamento, un cambiamento che oltre ad essere fisico e di maturazione, Linklater racconta anche attraverso dialoghi e a volte immagini, e che vede un paese come l'America mutare lentamente dalla pelle fino alle ossa.
Inizialmente siamo catapultati quindi nella gestione firmata George W. Bush, freschi di Undici Settembre e alle prese con notiziari che trasmettono una guerra all'Iraq poco compresa e discussa, mentre le radio passano You Drive Me Crazy e Britney Spears è motivo di emulazione con cui la piccola Samantha disturba nel sonno il suo povero e contrariato fratellino. Nello stato di avanzamento tuttavia, seppur microscopicamente, gli eventi proseguono a passo d'uomo e la società comincia a vestire gradualmente panni diversi. L'ipotesi di un presidente speciale come Barack Obama eccita la popolazione al punto da favorire una campagna a suo favore e speranze di armonia, la Apple si fa largo con forza nell'industria tecnologica e la tendenza musicale vira attorno al fenomeno erotico di Lady Gaga, che spaventa gli adulti ed intriga i giovani. Un'evoluzione importante, vissuta insieme alla crescita di un protagonista che, nel frattempo, vede e assorbe i cambiamenti repentini anche di una madre che cerca di fare sempre il bene dei propri figli, seppur a modo suo e col perenne errore di scegliere uomini sbagliati.

Questo per Linklater è materiale d'oro, ovviamente, e gli serve per manipolare l'altro tema della sua pellicola, che in qualche modo fa riferimento alla vita e al suo senso. Il suo Mason infatti subisce comportamenti e reazioni altrui principalmente con passività, muovendosi nel trambusto di fondo come fosse solo uno spettatore, ma negli anni che lo vedono crescere e maturare a vista d'occhio si trova improvvisamente assorbito e parte integrante di quel mondo di cui deve e dovrà continuare lentamente a prendere parte. In lui si fanno largo il carattere e l'esperienza, i primi approcci con la violenza e il sesso (il suo e l'altro) e persino delle domande a cui non sempre riesce a rispondere, neppure sotto l'aiuto di consigli anagraficamente più esperti. Così, senza nemmeno accorgercene siamo arrivati ai giorni nostri, oltre un decennio se ne è andato, e i paesi, le esistenze e le prospettive sono solo un vago ricordo di quello che erano e di come noi le ricordavamo. Mason è un uomo, sa quello che ama, meno quello che vuole e per niente quello che diventerà; come noi, ha vissuto solo un pezzo della sua esistenza, come noi è parte di qualcosa di concreto e di naturale, priva di colpi di scena e soprattutto, come noi, sta cercando di adattarsi e di comprendere qualcosa di incredibile e di meravigliosamente complicato come la vita.

Il miracolo di annullare la finzione pur tenendola perennemente sul piatto, diventa quindi la vera magia che Linklater chiede a sé stesso e in cui riesce ad avere successo. L'ultima volta che un esperimento simile, ma molto più cinematografico, ebbe fortuna era il 1994 e si trattava del "Forrest Gump" di Robert Zemeckis. Eppure quello di "Boyhood" è comunque qualcosa di decisamente più corposo e unico nel suo genere e per questo decisamente immancabile quanto prezioso.

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