The Iceman - La Recensione

Il regista israeliano Ariel Vromen scrive e dirige l'adattamento cinematografico del romanzo The Iceman: The True Story of a Cold-Blooded Killer. L'opera di Anthony Bruno dedicata alla figura del famoso criminale polacco Richard Kuklinski, che tra gli anni sessanta e gli anni ottanta, uccise in America un numero ancora non specificato di vittime, per le quali, in seguito, riservava un lungo periodo di congelamento post-mortem, necessario a confondere le autorità sulla reale data del loro decesso.

Col senno di poi è difficile pensare che un assassino così spietato e allo stesso tempo così dedito e aggrappato al benessere della sua famiglia, potesse essere interpretato da un attore diverso da Michael Shannon, sostanzialmente perfetto in una parte che gli chiedeva di passare, in maniera scostante, dal classico sguardo cattivo, rabbioso e crudele al più rassicurante e rilassato sorriso di un padre riservato e silenzioso. Ed è su queste doti che Vromen punta per far funzionare il suo "The Iceman", mettendo da parte gli omicidi, gli incarichi e la malavita per aprire il più possibile lo sguardo sul privato e sull'analisi interiore di un uomo che deve fare i conti con un passato che lo ha condizionato e continua a perseguitarlo, minacciando un presente già ricco di pericoli di cui però non riesce a fare a meno e con cui rischia di mettere a repentaglio non solo il suo futuro, ma soprattutto quello di coloro per cui si prende cura e a cui nasconde la sua reale identità. Cerca di mettere in duro contrasto entrambe le parti la pellicola, suggerendo una lotta interna tra demoni che vorrebbero uscire e una volontà di redenzione che cerca attraverso il soffocamento e la rabbia di contenere quello che potrebbe essere il male più puro, quel male di cui Kuklinski è infetto, portatore, ma che prova, con l'amore per la moglie e per le sue due figlie, ad estirpare e a sconfiggere.

Rispetto al protagonista che racconta, tuttavia, Vromen dimostra di non avere il giusto autocontrollo per rispettare i parametri da lui voluti e condurre quindi con la dovuta sobrietà una biografia che più che essere incalzante doveva avere la caratteristica di smascherare la personalità discrepante di un uomo propenso ad onorare i giusti valori, come ad uccidere a sangue freddo. Il suo lavoro perciò subisce un percettibile sgretolamento quando il gene del gangster-story esce fuori e comincia a impadronirsi della trama, togliendo ossigeno a tutto il discorso intimo e profondo che si stava tentando di tessere e allineandosi verso le solite pellicole di mafia e regolamento di conti che ben conosciamo e siamo abituati a (pre)vedere. Durante questo processo "The Iceman" mostra oltre che il fianco persino i tratti di una sceneggiatura meno forte del previsto, che si abbandona a sé stessa pur di continuare a scorrere, perdendo integrità e aderenza.

Chiude pertanto con un punteggio assai meno alto di quanto inizialmente si potesse pensare Vromen, incapace di sfruttare come si deve sia un cast di livello e in forma e sia una storia che, per quanto abituale, per un lasso di tempo aveva dato l'illusione di potersi rivelare stimolante. O perlomeno così sarebbe potuta essere, se quell'ingenua scivolata non avesse reso ogni cosa vana.

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