Mad Max: Fury Road - La Recensione

Il restyling eseguito da George Miller per la sua creatura nata alla fine degli anni settanta, è un'apoteosi action muscolare, folle ed eccessiva.

Pronti, via, ed è già adrenalina, con un Tom Hardy a voce profonda, fuori campo, che mette in chiaro le cose, salvo poi farsi da parte con la stessa rapidità di entrata per consentire alla vera protagonista, Charlize Theron, di mettere mano al volante e ingranare la marcia. Ha inizio così una fuga e un inseguimento ai limiti dell'inverosimile, lungo un paesaggio post-apocalittico e desertico, figlio di un mondo prosciugato di ogni risorsa sia ambientale che soprattutto umana. I come e i perché tuttavia Miller preferisce lasciarli in sospeso (ipotizzabili), preso con tutto sé stesso da una carovana di esseri medievali e anti-eroi, con ancora un briciolo di umanità e alla ricerca di redenzione, che allestiscono una battaglia on-the-road per la quale non c'è quasi mai il tempo di rifiatare o riflettere. "Tutto questo per dei figli sani", dice a un certo punto uno dei cattivi inseguitori, perché a fare infuriare il capo-imperatore - detentore di acqua e di schiavi - più del tradimento della Theron, è il rapimento che quest'ultima ha pianificato per salvare dalle sue grinfie delle giovani madri da cui sarebbero dovuti nascere degli eredi perfetti: figli privi di malattie o handicap, da destinare ad un trono altrimenti precario.
Sono testosterone e violenza, dunque, a scendere in campo e ad occupare l'intero spazio, persino in quei veicoli letali esteticamente datati, ma modificati e alterati, in cui il termine fiammante non va più inteso metaforicamente, bensì preso alla lettera e tenuto fisso a mente. Se non fosse abbastanza chiaro infatti quello esposto da "Mad Max: Fury Road" è uno show allettante, perfido e pesantissimo, uno di quelli che non smette mai di sorprendere né di mostrare il fiatone con attimi di distrazione da affaticamento o stanchezza.

Ha le idee chiarissime stavolta allora Miller, assai di più di quanto le avesse la prima volta che portò Mad Max sullo schermo. E' saldamente conscio della strada furiosa da percorrere, esattamente come dei mezzi alternativi a disposizione nel cinema digitale con cui poter esaltare ai massimi storici l'immaginario fumettistico tenuto a mente. Colora perciò la sua pellicola di una saturazione altissima, esaltando effetti speciali, scorci, come allo stesso tempo primi piani e volti sporchi e sudati dei suoi attori. Decide di abbellire le sequenze di azione con un'estetica punk e un alito rock che ben si sposano all'eccentricità e allo stile di caratteri, e di natura, del suo lavoro, rimanendo sempre fedele ovviamente alle origini, ma anche al diverso passo contemporaneo necessario.
Sembra talmente eccitato del risultato ottenuto che spesso eccede di polso e appesantisce le dosi, incitando ad un bis e ad alcuni potenziamenti che, forse - dipende dai gusti - rischiano di mandare in estasi oppure di colmare fino allo stremo l'appetito dello spettatore, il quale già sazio rischia di sentirsi stremato dalla vastissima quantità di portento e aggressività servita sul piatto.

Visivamente comunque "Mad Max: Fury Road" resta, incontrastata, una delle opere maggiormente spiazzanti (in senso buono) e folgoranti passate al cinema negli ultimi anni. Una di quelle in cui la componente reboot appare ora più che mai indifferente e positiva, e destinata, chissà, a diventare un cult per le generazioni presenti e quelle a venire.
Considerando, tra l'altro, che Tom Hardy, messo probabilmente troppo da parte, ha quasi tutto sia da dire che da far vedere.

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