E' una pellicola viscerale, infatti, quella diretta da Lenny Abrahamson, una pellicola in cui tutto si fa relativo e secondario in confronto alla forza e all'amore del rapporto madre-figlio posto al centro. C'è qualcosa di terribile accaduto nelle loro vite, qualcosa che li ha costretti nella condizione brutale di cui sopra e che, una volta messa alle spalle, lascia su di loro degli effetti collaterali inevitabilmente da gestire e da curare. C'è da (ri)prendere contatto con l'esterno, per esempio, con quello spazio infinito che se in un primo momento poteva significare liberazione e felicità, in un secondo diventa sinonimo di paura e di angoscia. Uno shock in cui si deve passare attraverso o sopperire, complicato in modo diverso per entrambi e, a caldo, assai meno rassicurante di quella Stanza che comunque aveva rappresentato per loro gli attimi di gioia e di felicità più recenti. Bisogna affrontare il passato e il presente, insomma, prima di rimboccarsi le maniche ed andare incontro al futuro, bisogna riscrivere ogni regola, imparare da capo ciò che si credeva di sapere ed essere pronti a ciò che invece nemmeno si pensava di dovere affrontare.
L'unico modo per superare queste difficoltà, secondo "Room", è aggrappandosi l'uno all'altro in modo diverso, cominciare a muoversi in quei spazi, ora a disposizione, e provare a fidarsi del prossimo pur senza perdere mai di vista quel punto di riferimento fondamentale per la nostra vita. Riesce ad essere sensibile nella maniera più moderata Abrahmson, in questo frangente, a raccontare il parziale distacco di un rapporto, per certi versi necessario, col giusto tatto, scatenando lacrime di commozione a più riprese quando a rendersi conto dei problemi di una madre non ancora riabilitata alla normalità quotidiana, ci sono le parole di un bambino fresco, fresco di sapere e di esperienza. Bastone e carota quindi, per il regista, che con la sua pellicola si permette il lusso di non far accomodare mai lo spettatore in un brodo di giuggiole e di rimetterlo in agitazione con durezza quando la situazione lo richiede e la trama accenna alla costanza, provocando così' un ritmo convulso e mai rilassante capace di esaltare la sensibilità e la tensione.
Sa il fatto suo, dunque, Abrahmson, non c'è che dire: sa come non essere pedante e allo stesso tempo come non diventare né retorico e né smielato. La sua pellicola rasenta quasi la perfezione assoluta, raccontando una storia originale e splendida (tratta dal romanzo di Emma Donoghue, la quale è anche sceneggiatrice) che non smette mai di convincere e di appassionare - fazzoletto alla mano - chi la sta guardando.
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