The End Of The Tour: Un Viaggio Con David Foster Wallace - La Recensione

Il tour è quello che lo scrittore David Foster Wallace stava svolgendo nel 1996, per la promozione di "Infinite Jest", libro migliore della sua carriera che lo consacrò definitivamente alla critica e ai lettori come giovane autore sbalorditivo. Quella fine, invece, è l'entrata in scena dello scrittore e giornalista di Rolling Stones, David Lipsky, martellato dalla voglia di intervistare Wallace durante le ultime tappe della sua promozione, per capire che uomo ci fosse dietro quel talento con cui veniva ripetutamente paragonato ad Hemingway o ad altri miti della storia letteraria.

Il loro incontro però fu qualcosa di più rispetto alla solita conversazione tra giornalista e intervistato, fu un testa a testa sfiancante, una lotta psicologica di punti di vista, aspettative e ragionamenti irrazionali così come filosofici, che portò i due ad andare oltre il rapporto professionale, condividendo un pezzo di essenza e di quelle contraddizioni che sono parte dell'esistenza. Lipsky in Wallace vedeva il suo obiettivo da raggiungere, ciò che lui non riusciva ad agguantare come scrittore, e non mandava giù che la persona in cui voleva specchiarsi avesse un atteggiamento dimesso, prudente e controllato, da ricalcare l'antitesi dello scrittore di successo partorita in ogni immaginazione. Come un pugile che studia l'avversario l'approccio del giornalista nei confronti della star è quello allora di chi tenta di studiarne le mosse, di intravederne i punti deboli, i dettagli di una smorfia o di un gesto utile a smascherarne l'ego e l'arroganza, due caratteristiche che però non sembrano trasparire dalla stazza e dalla faccia di un uomo che non ha problemi ad aprirsi e ad ammettere le sue sofferenze e le sue fragilità. Non mente Wallace, non lo fa mai, quando non ha voglia di esaminare un argomento lo comunica timidamente, oppure lo fa in modo che la controparte intuisca, facendo la cortesia di glissare. E' sincero nel confidarsi al registratore del suo collega, racconta sé stesso e il percorso che lo ha portato al successo con la normalità di chi non ha cercato nulla, ma ha solamente lasciato che le cose accadessero, punto.

Ammette di essere felice di apparire sulla rivista Rolling Stones, ma subito dopo, aggiunge, di non voler dare l'impressione che abbia fatto di tutto per finirci sopra. Più o meno sono queste le parole pronunciate dalla sua versione interpretata da Jason Segel, in una fase fondamentale di "The End Of The Tour: Un Viaggio Con David Foster Wallace". La preoccupazione di chi non vuole assolutamente mandare alla gente il messaggio di stare comodo in quella piscina di successo che non ha chiesto di costruire e nella quale nuota con immensa riflessione e tensione. Un messaggio di normalità che scatena la rabbia nel Lipsky di Jesse Eisenberg, sempre più convinto che la visione di non celebrare quella fama che lui rincorre, sia una messa in scena con cui lo scrittore si prende gioco di lui come degli altri, dall'alto della sua sdoganata intelligenza e superiorità mentale, indiscussa, almeno lei, dai lavori pubblicati e apprezzati.
Provoca lo stesso effetto di un inondazione destabilizzante la pellicola di James Ponsoldt, composta da dialoghi, emozioni e insicurezze di una continua diffida e sfida, nella quale i due protagonisti fanno a spadate con la lingua mentre, nel frattempo, senza rendersene conto discutono della vita, delle sue digressioni, dei suoi deragliamenti, delle vittorie e delle sconfitte (non solo loro). Pensano di allontanarsi e finiscono per fare l'esatto contrario, non raggiungendo il livello di un'amicizia da celebrare in un abbraccio, ma rendendosi conto della presenza di quel legame intimo e personale, da conservare nella memoria del cuore per non dimenticare.

Entrare in contatto con leggende che nascono una volta ogni cento anni, del resto, non capita tutti giorni. Come non capita tutti i giorni nemmeno di riuscire a parlare sinceramente e profondamente di temi così delicati come quelli che tormentavano Wallace e, insieme a lui, l'intera umanità. E nel discorso con cui Lipsky interviene, dando l'ultimo saluto al suo ex compagno di viaggio - venuto a mancare, otto anni dopo - c'è tutta la consapevolezza di chi quel tesoro perduto aveva, infine, imparato a stimarlo e ad essergli grato.

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