10 Cloverfield Lane - La Recensione

La radice Cloverfield resta, ma cambia tutto.
Quel (e il) mockumentary viene messo da parte, così come i risvolti e i personaggi. Della grande pellicola datata 2008 non si porta appresso alcuno strascico la sceneggiatura di Josh Campbell, Matthew Stuecken e Damien Chazelle, ma taglia di netto ogni ponte e allusione, ereditando come filo conduttore solo tematica, sensazioni ed ambiguità.

E' più un thriller claustrofobico, infatti, la pellicola diretta da Dan Trachtenberg, dove l'horror è mantenuto in porzione limitata e la fantascienza è una donna con cui flirtare, restando enigmatici maggiormente possibile riguardo alla serietà delle intenzioni. C'è una botola, tre personaggi e un mondo esterno a cui è capitato qualcosa di molto grave, o almeno queste sono le indicazioni di un risoluto John Goodman ad una Mary Elizabeth Winstead allarmata e a cui mancano, per un motivo specifico, delle informazioni fondamentali. Svanisce, dunque, la trasparenza dettata dal capostipite, quella in cui l'evidenza degli eventi non lasciava spazio all'immaginazione, ma restano tuttavia l'ansia ed il terrore, gonfiati in proporzione assai superiore dall'ignoto e dalle supposizioni che quest'ultimo esorta a comporre. Diventa quindi una scatola cinese "10 Cloverfield Lane", da cui fuoriescono scatole su scatole che non la smettono di confondere le idee, di chiarirle e poi di riconfonderle ancora, costringendo a una resa mentale a cui solo il tempo e l'attesa saranno in grado di fornire risposte. Meccanismo che funziona con i suoi alti e bassi, con il sostegno di un cast minimale, eppure compiutissimo, abile a produrre angoscia e a disinceppare, laddove serve, gli automatismi di quei rari momenti in cui il canovaccio ridotto all'osso pare mostrare i fianchi o tentennare.

Il sigillo di J.J. Abrams, comunque, non cessa di essere sinonimo di certezza. C'è ancora la sua mente, del resto, a fare da sponsor e a lanciare, di fatto, Cloverfield come un franchise, c'è la sua mente dietro una campagna virale-promozionale persuasiva, ma soprattutto c'è la sua mente dietro ad un trailer che non può passare inosservato specialmente per i fan di "Lost": che nel jukebox inquadrato in apertura da cui parte la musica e nell'ambiente serrato situato sotto terra, non possono non rintracciare le affinità con l'inizio della seconda stagione della serie televisiva. Astuzie da cui il lavoro di Trachtenberg ricava, di conseguenza, considerazione e richiamo spropositati, permettendosi di poter polarizzare ogni energia sull'intrattenimento incontaminato, di qualità, e sull'accumulo di tensione a intervalli regolari, senza avvalersi, peraltro, dell'ausilio delle fondamenta post-Undici Settembre che furono il vantaggio di Matt Reeves a suo tempo.

A farsi carico di qualunque mancanza, poi ci pensa il Noè di Goodman che, per maestria e superiorità, vale quasi integralmente il valore del film. Un film a cui si perdona, tra le altre cose, un finale forse un po' troppo in controtendenza con il resto e su cui si poteva, magari, rimettere le mani, aggiustandolo.
Ma un film, anche, che ci mostra, finalmente, una Winstead protagonista all'altezza, che nemmeno in "Die Hard: Vivere O Morire" era stata tanto figlia di John McLane (a cominciare dalla canotta bianca indossata per gran parte della storia) come qui. E per chi ama giocare al gioco di Abrams, e va a cercare collegamenti nascosti a destra e a manca, questo deve essere un motivo in più per uscire appagati.

Trailer:

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