Somnia - La Recensione

Sembra la storia di un X-Men: Cody, bambino di appena otto anni, ha il potere (da quando ancora era nella pancia della madre) di trasferire nella realtà che lo circonda ciò che il suo subconscio gli architetta nella mente durante il sonno, nel bene come nel male, sogni come incubi. Causa che lo porta, dopo la morte della madre biologica, a saltare di famiglia in famiglia, venendo sempre respinto e causando, involontariamente, incidenti spaventosi o tragedie. Eppure non si tratta di un mutante, Cody è un bambino comune, il suo universo - seppur contaminato da una componente soprannaturale - è comune, così come persino la sua tendenza a generare male e sofferenze è comune.

E' un horror psicologico infatti "Somnia", che analizza la tematica dell'elaborazione del lutto a vari livelli, prendendo in esame un bambino orfano che percepisce la realtà con la fantasia propria della sua età, e una famiglia, l'ultima a cui va in adozione, che lo accoglie in casa per cercare di superare la perdita prematura del loro figlio che, la madre più del padre, fatica ad accettare e a mettersi alle spalle. Ognuno sembra essere, dunque, la cura per l'altro: da un lato una madre che vuole recuperare fiducia nel ruolo, voltando pagina, e dall'altro un bambino dolce, educato e impaurito che vorrebbe solamente venire accettato per quello che è, dovesse costargli il sonno o, in alternativa, l'esaudire desideri logici, ma dannosi, richiesti da chi lo ha appena accolto.
Alza l'asticella insomma il regista Mike Flanagan, giunto al suo terzo lungometraggio di genere si avvicina sempre di più alle porte del mainstream, maneggiandolo, però, con lo stesso riguardo e la stessa intelligenza delle operazioni low budget, o indipendenti, che meglio conosce e di cui trattiene (fortunatamente) gli insegnamenti. Di trappole infatti in questo frangente ce n'erano tante, troppe forse, eppure lui con maestria riesce ad evitarle tutte senza affanni, voltando le spalle ad ogni tipo di stereotipo, restando distante dall'apparire scontato e, al tempo stesso, mantenendo altissima la dose di tensione e di cattura con cui agganciare lo spettatore.

Perché trasmette ansia "Somnia", a tratti, ma a grandi dosi. E lo fa non tanto attraverso i mostri e le conseguenze generate dai poteri del suo protagonista magico, quanto con le sfumature e le situazioni che sfrutta a suo vantaggio e con cui va a colpire l'emotività e la sensibilità collettiva, permettendosi anche il lusso di non dover ricorrere, per forza, ad immagini demoniache o surrogati tipici. Flanagan, del resto, sulla lista delle cose da fare non ha l'obiettivo di spaventare gratuitamente, anzi, il suo è più un cammino al contrario, un cammino verso il risanamento, verso l'annullamento di quelle paure e di quei fantasmi che se da un fronte vengono manifestati e agiscono, dall'altro no, ma esistono in egual misura. E per risolverli, per acchiapparli, per disinfestare le vite dei suoi pazienti, il regista ha bisogno di mettere prima a fuoco la loro condizione interiore, di lasciarli esprimere, sbagliare, sfogare, facendogli pagare caro ogni errore, ma avvicinandoli passo, passo, alla comprensione e, forse, alla guarigione.

D'altronde pagare con la vita che ci appartiene disgrazie su cui non si è avuto alcun controllo è un prezzo fin troppo caro da mandare giù, meglio allora prendere il toro per le corna, graffiarsi, magari, rischiare tutto, ma combattere per avere (o tornare ad avere) quelle prospettive e quel futuro che di diritto ci spetta.
Per questo combattono i personaggi di Flanagan, per questo lui si è spremuto le meningi e per questo ha dato vita ad una pellicola angosciosissima, praticamente impeccabile, che involontariamente potremmo considerare anche come il miglior spin-off su un X-Men che sia mai stato realizzato al cinema.

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