The Square - La Recensione

The Square Poster Cannes
The Square è un’opera d’arte.
No, non mi riferisco al film di Ruben Östlund inteso nel suo valore assoluto - sul quale poi comunque andremo a discutere - ma al significato di un titolo che, a primo impatto, potrebbe fuorviare e portare a traduzioni inglese/italiano logiche, ma non in linea con quella che poi sarebbe la realtà dei fatti.
Perché è ambientato nel mondo dell’arte, “The Square”, quel mondo stracolmo di gente borghese - il più delle volte stravagante e piena di sé - che non ha problemi, per esempio, a tenere in casa uno scimpanzé addomesticato, o ad andare in giro con abiti eleganti ogni volta che deve farsi vedere in pubblico: gente, per farla breve, che solitamente tende a guardare dall'alto verso il basso ogni classe sociale al di sotto della propria.

Christian - il protagonista - è praticamente uno di loro, uno che però ha appena concluso, per il prestigioso museo di Stoccolma di cui è curatore, l’acquisto di un’importante installazione chiamata, appunto, The Square, che in breve rappresenta un quadrato, illuminato lungo la sua circonferenza, all'interno del quale - secondo l’autrice - ogni essere umano che accetta di occuparlo dovrebbe fidarsi ed essere altruista nei confronti del prossimo. Un concetto di uguaglianza e fraternità, per certi versi, nobile e (oggi) rivoluzionario, che lui stesso, tuttavia, pur promuovendolo al pubblico, fatica a mettere in atto esagerando soprattutto quando gli capita di essere derubato del suo portafogli e del suo cellulare: due oggetti che cerca, poi, di recuperare in maniera furba, ma forse un tantino troppo intimidatoria e perciò indirizzata a portare con sé delle conseguenze.
Grottesco, sinistro, offuscato. Se li porta dietro tutti questi aggettivi il lavoro di Östlund, mentre procede spedito, senza dare punti di riferimento, verso quella che è, per lui, una meta da chiarire solamente una volta giunti all'ultimo giro della corsa. Perché che ce l’abbia con la società, che voglia evidenziare il divario netto che si è formato, ormai, tra ricchi e poveri, “The Square” non lo dice e a malapena intende farlo capire, simulando un’esposizione talmente enigmatica, astuta e personale che porta a tirare conclusioni a ripetizione, ovviamente tutte sbagliate.

The Square FilmMentre invece, è scontato (più che scontato, magari, legittimo), raggruppati tutti gli elementi, che il regista volesse raccontare proprio ciò che c’è al di fuori di quel quadrato, di quell'opera d’arte tanto semplice quanto complessa nei suoi intenti: da mettere in confronto con un esterno-naturale in cui a dominare e a dominarci sono le paure, la diffidenza e il pensiero costante che chi è diverso da noi (ma anche chi ci è appena sotto o a fianco) - economicamente, ma pure etnicamente – non può che essere pericoloso, violento, spargitore di male a più livelli. In tutto questo Christian è sia carnefice che vittima, ipocrita come la maggior parte di tutti, ma chiamato a rispondere alle sue azioni attraverso eventi particolari che oltre a schiaffeggiarlo lo costringono a fare i conti con la coscienza, una coscienza che per sua fortuna - e da una parte anche per nostra - non è così lavabile come lo sono invece altre.

Perché il film di Östlund, per quanto imperfetto e in alcuni momenti stonante, quando decide di aggredirci non è che ci risparmia, anzi, non indietreggia neppure di un passo, a meno che non siamo noi i primi a tirar fuori fazzoletto bianco e a sbandierare resa; ci pone di fronte a uno specchio scomodo rivelandoci che siamo arrivati al punto in cui sono più evidenti i difetti che i pregi, utilizzando Christian come speranza ultima di redenzione, ma anche come segnale di codice rosso.
Quel segnale che negli sguardi finali, in macchina, va ad assumere un po’ il sapore di un senso di colpa destinato a non dissolversi, a pesare, a ricadere sui nostri figli quasi come fosse un'eredità, mentre il silenzio dilaga e la mission di The Square (l’opera d’arte, non il film) somiglia sempre più a utopia.

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