A qualcuno frega ancora un cazzo del cinema?


Il discorso - o lo sfogo - che segue nasce da un ragionamento post-visione di un titolo che avevo intenzione di recensire, ma che alla fine ho pensato non valesse più la pena fare. E' un ragionamento scritto di getto, sicuramente con delle grosse falle, però assolutamente sincero.
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A qualcuno frega ancora un cazzo del cinema?
No, perché è da un po' di tempo, ormai, che a me sembra proprio di no. E non ce l'ho con gli spettatori. Non mi interessa di chi va al cinema una volta l'anno per vedere la commedia di turno di cui stanno parlando tutti. Di quelli che preferiscono stare a casa a finire il catalogo di Netflix, mentre scrollano le storie su Instagram e su Tik Tok. Anzi, magari se esistono persone che si comportano così, forse il problema è deriva in primis dai contenuti sempre meno interessanti che vengono proposti altrove.

Infatti è proprio a chi si occupa di realizzare film che vorrei rivolgermi. Ai produttori, certo, ma pure agli sceneggiatori, ai registi, e a chiunque sia responsabile o coinvolto nel processo creativo. A voi frega ancora un cazzo del cinema? Perché io, da appassionato, da pseudo-critico, ma anche semplicemente da spettatore, faccio fatica a percepire che la risposta a questa domanda sia sì. Faccio fatica a intravedere impegno, amore, dedizione in quello che fate (parlo alla maggioranza, ovviamente: è evidente che qualcuno ancora sta lottando). E lo streaming sì, non aiuta, ma recentemente questo sembra essere diventato più un capro espiatorio. Perché, è vero, lo streaming è una soluzione comoda che spesso viene adottata e preferita all'altra che, invece, ti obbliga ad uscire di casa, a prendere la macchina, a trovare parcheggio e a spendere una ventina di euro per due biglietti, ma se fossimo convinti ne valesse la pena, forse saremo pure disposti a farlo, no?

Allora, chissà, magari il problema potrebbe essere che adesso - e con adesso, intendo da qualche anno - si fa fatica a distinguere tra prodotto cinematografico e prodotto per lo streaming. E, quindi, tra prodotto realizzato con una certa cura e un certo impegno e prodotto utile a rimpolpare semplicemente un catalogo di contenuti. Questa pigrizia, questa mediocrità, le piattaforme se la possono permettere, gli abbonati lo sanno, certe esche fanno parte del gioco ed è un gioco di cui sono perfettamente complici consapevoli. Ma il cinema no. Il cinema non può e non deve abbandonarsi a questa tendenza, altrimenti se accettasse di farsi staccare la spina. Poi diventa normale per il consumatore preferire attendere due, o tre settimane - finestra standard, grossomodo - per vedersi i film direttamente a casa, disertando la sala. Del resto, se il valore del prodotto è scadente, che senso ha sbattersi e fare pure lo sforzo di spostarsi. Spesso anche al termine di una giornata estenuante.

Che, tra l'altro, lo spettatore ha dimostrato pure che quando il gioco vale la candela, in sala è disposto a venirci. Perché quando sono usciti titoli che hanno fatto parlare di sé, stimolato il dibattito, o portato qualcosa di lontanamente originale - seppur non perfetti, discutibili, o sopravvalutati - il box office ha risposto presente. La gente c'è andata. E mi riferisco in particolare a titoli italiani usciti negli ultimi due, tre anni, che aiutano a capire che il problema non è esattamente il pubblico. O non solo, almeno. Il problema è ciò che viene offerto.
E a tal proposito non possiamo non accennare - e qui il discorso diventa meno generale e più nostrano - i problemi che sta affrontando l'industria cinematografica in Italia, in questo momento. Con una crisi che non pare volersi risolvere e che sta costringendo a casa migliaia di lavoratori, impegnati nel settore. Ecco, non sarebbe il caso di togliere alibi a chi sta cercando di difendersi, rispondendo che certi film che escono in sala non vanno a vederli nemmeno i parenti di chi li ha fatti? 

Tra l'altro - e qui torniamo a parlare in maniera generale - mi pare un comportamento molto stupido, quello di lesinare nell'impegno proprio nell'epoca in cui si sciopera e si protesta per allontanare la minaccia dell'intelligenza artificiale. In teoria, la reazione logica a tale rivoluzione dovrebbe essere manifestare lampi di orgoglio, dimostrare che le macchine possono sorprendere quanto gli pare e piace, tirare fuori algoritmi precisissimi, ma che se si tratta di raccontare storie emozionanti, staranno sempre un passo indietro. E invece no, invece glie la stiamo rendendo semplicissima, scrivendo film con la mano sinistra e la testa da un'altra parte. Tanto vale arrenderci subito, a questo punto: "Senti, Chat GPT, a noi onestamente nemmeno ci va più tanto. Quindi, sai cosa? Vai, pensaci tu d'ora in poi. Tanto chi se ne accorge?".

Ecco, no. lo preferirei continuare a vedere storie in cui l'empatia, la sensibilità, la mano dell'essere umano si percepisca ancora. Storie nelle quali riesco a sentirmi coinvolto, in cui mi ritrovo a parteggiare per il protagonista di turno, per ciò che prova e per ciò che sta affrontando. Basta con questi film che puntano alla sufficienza, al compitino (solo al box office), che quando esci dalla sala, fai due passi, e te li sei già dimenticati. O, peggio ancora, mentre li guardi ti viene voglia di prendere il telefonino, perché è più interessante il reel di un gattino che gioca col gomitolo di lana e si lecca la zampetta. Reboot, remake, sequel, fotocopie sbiadite di qualcosa che ha funzionato in passato, ma che evidentemente non è stata capita da chi ha tentato di scopiazzarla. Vi prego, smettetela, state uccidendo il cinema. E peggio ancora state uccidendo la nostra voglia (e la nostra motivazione) ad andarci.
Il che rende tale delitto un gesto imperdonabile.

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