Material Love - La Recensione

Material Love Poster Ita

Chissà se davvero a New York - e nel mondo? - funziona davvero così, adesso.
Ovvero che si è smesso di seguire il cuore e si è cominciato a pensare al partner come a un investimento calcolato, un progetto a lungo termine. E, allora, ecco che figure come quelle del matchmaker diventano mestiere fondamentale, utile, perché aiutano a compiere la scrematura necessaria a farci perdere meno tempo e ad andare dritti al punto.

Secondo Celine Song, la società di oggi ha intrapreso una deriva talmente superficiale, fredda, (autolesionista?), lasciandosi travolgere dalla frenesia di una vita che rimanda continuamente al successo, al valore personale e ai traguardi, che per l'amore - quello vero, almeno - non c'è più posto. Non ce lo possiamo permettere, diciamo. Bisogna agire con lucidità, prospettiva. Ed ecco che quindi entra in gioco la Lucy di Dakota Johnson che, praticamente, è una specie di Tinder umano, una scalatrice di algoritmi: tu la ingaggi, lei ti fa un profilo in base alle tue caratteristiche e poi raccoglie i dati sulle caratteristiche che vorresti avesse il tuo (futuro) partner (ragionevoli, non ragionevoli, fa niente). Quando i tratti di un cliente si incrociano a quelli di un altro cliente, lei organizza l'incontro per far conoscere entrambi e, se tutto va come deve andare (il primo è soddisfatto, il secondo pure), l'accordo va in porto e si passa - orientativamente - alla chiusura: il cui apice dovrebbe essere il matrimonio, il contratto definitivo. Un manifesto decadente, triste, che però, in qualche modo regge, anche narrativamente, perché il periodo che stiamo vivendo è talmente assurdo che, forse, una distopia del genere non appare nemmeno troppo impossibile da immaginare. E se qualcuno dovesse mai avere un rigurgito, un barlume di emotività che lo facesse ripensare a una vecchia cotta, o alle farfalle nello stomaco, meglio si abitui a ingoiare il rospo, a pensare al successo, all'apparenza, a ciò che gli altri penseranno quando lo vedranno accanto a un partner oggettivamente affascinante, appariscente e con la RAL alta quanto un grattacielo.

Material Love Dakota Johnson

Se "Past Lives" era profondo, suggestivo e straziante, questo "Material Love" potremmo etichettarlo un po' come la sua nemesi: quindi algido, frivolo, convenzionale. Un passo indietro, se analizzato dal punto di vista cinematografico e autoriale. E, comunque, poco azzeccato e centrato anche se preso come semplice intrattenimento, o romance. L'impressione è che Song oscilli tra la leggerezza del copione che ha tra le mani e la serietà e l'intimità del cinema che (in teoria) si porta dentro. Perché non riesce a stabilire nessuna connessione con la commedia - per quanto a tratti amara - e né tantomeno con quel dramma, al quale magari restituire una puntina di zucchero quando giunti sulla via del tramonto. Resta incastrata in un mezzo che non sa né di carne e né di pesce, realizzando un prodotto che - volontariamente o meno - finisce per assumere la stesse proprietà della sua protagonista: distaccato, indeciso, esitante. Qualcosa non funziona in questo triangolo amoroso che avrebbe dovuto accendere e animare il cuore del film: con Pedro Pascal a fare da ottimo partito e Chris Evans da anima gemella, designata a far saltare tutto il banco. 

Se l'obiettivo era quello di rifarsi a commedie romantiche del passato, sicuramente qualcosa viene a mancare, non gira nel verso giusto. E lo stesso vale, se si voleva mettere in piedi qualcosa di ibrido e di diverso. Ciò che rimane di "Material Love", probabilmente, è lo stato catatonico dei nostri sentimenti, dell'amore, che al di là di un canovaccio che funziona così e così, rende benissimo l'idea di una società sempre più inghiottita dal materialismo (e dal capitalismo), dalla forma e da una finzione che, per continuare a far sembrare realistica, la sta consumando drasticamente, giorno dopo giorno.

Trailer:

Commenti