Lincoln - La Recensione

Lungo, prolisso, curato, storico, (molto) politico.
E’ questo "Lincoln", un biopic che biopic è poco, dal momento in cui si limita, senza limiti, a narrare gli ultimi quattro mesi della vita di Abramo Lincoln, ritraendolo impegnato e consumato dalla sua battaglia a favore dell’approvazione del XIII Emendamento, il quale, in seguito, abolirà per sempre la schiavitù negli Stati Uniti d'America e decreterà veramente uguaglianza ed equità all'interno del paese.

Un lavoro enorme è stato compiuto da Spielberg e soci per realizzare il tributo a uno dei presidenti, forse più importanti, sicuramente più amati, della storia Americana, a incominciare dal convincere Daniel Day Lewis ad accettare una parte da lui rifiutata in più di un’occasione. "Lincoln" però si affaccia allo spettatore - almeno quello non statunitense - come una lezione di storia spiegata in forma teatrale da un professore d'onore, una pellicola totalmente priva di azione dinamica e totalmente straripante di azione statica. Dialoghi a cascata, riunioni, discussioni, sono questi gli elementi che scuotono e stimolano lo spettatore, tentando di trascinarlo nella riuscita di una missione formalmente irrealizzabile ma voluta dal suo promotore così fortemente da arrivare, infine, ad esser compiuta.

Eppure ciò a livello cinematografico risulta poco, pochissimo. "Lincoln", arrivati neanche a metà della sua "avventura", stanca, pesa, annoia. Non ce la fa ad intercettare lo spettatore, si trascina a fatica e si riduce prestissimo ad un accumulo di grandi interpretazioni agevolate da un gigantesco cast d'attori capitanato da un Daniel Day Lewis spaventoso, sia per maestria che per aderenza al personaggio. L’assenza di una forza motrice tangibile, scuotente, perdura per tutti i centocinquanta minuti i quali diventano via, via sempre più interminabili non facendo mai e poi mai balzare neppure un istante dalla poltrona lo spettatore.

Non fosse per informazione, si fatica a pensare a "Lincoln" come a un film di Steven Spielberg. Il regista - che aveva fatto discutere per il lavoro compiuto con la mano sinistra di "War Horse" - questa volta sembra non voglia far sentire la sua presenza, e allora si annienta dietro la macchina da presa lasciando che sia il pilastro storico avanti a lui a prendere piena e totale attenzione. Questo gli impedisce senz'altro di lasciarsi andare, di creare momenti emozionanti come quelli che rendono distinguibile il suo cinema, limitandosi nel dare il massimo ed evitando che il suo tocco lasci tracce indelebili.

Ne deriva una esecuzione stilisticamente perfetta, interpretata senza neppure una sbavatura ma svolta però tutta testa e niente cuore, un polpettone storico che rimane sullo stomaco già a metà del piatto e non si vede l’ora di terminare per alzarsi da tavola. Tuttavia, “Lincoln” non svanisce nell'istante in cui scendono i titoli di coda. Seppur parecchio insopportabile, è bravo a scolpire nella nostra testa un immagine frammentaria, onirica quasi: quella di un presidente che voleva il bene del suo paese, sapeva cosa era giusto fare prima ancora che lo comprendesse il suo popolo, e si è battuto per questo con tutto sé stesso affinché ciò potesse avverarsi.

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