Jay Kelly è una stella del cinema, un divo. Fa parte di quello star system che ormai – si dice – non esiste più, rappresentato ancora da pochissimi attori e attrici, di cui la maggior parte diretti verso il viale del tramonto. Lo stesso che proprio Jay Kelly sente avvicinarsi e alitare dietro il suo collo, con un cinema che scarseggia nel proporgli ruoli importanti – da protagonista – e che quando gli presenta un’offerta, è solamente perché il suo agente si è fatto in quattro per convincere il regista di turno che “invecchiare” anagraficamente quel personaggio nel copione, lo avrebbe portato a strappare un numero maggiore di biglietti al botteghino.
Insomma, Jay Kelly è un personaggio fuori dal tempo, uno di quelli (in via d'estinzione) che, probabilmente, nessuno se non George Clooney avrebbe potuto e saputo come interpretare al meglio, impersonare. Ed è un aspetto nel quale Noah Baumbach (o chi per lui) ha eseguito una sorta di capolavoro perché, se Clooney era facilissimo da individuare, in fase di casting, molto più brillante e ricercata (e, col senno di poi, azzeccata) deve essere stata l’intuizione di prendere Adam Sandler come suo fedele scudiero e (unico) amico. Tant’è che, se “Jay Kelly” sta in piedi e riesce a non accartocciarsi mai su sé stesso, è proprio grazie alle performance e alla chimica che viene a crearsi tra questi due (immensi) attori, capaci insieme di sovrastare quella che avrebbe dovuto essere la trama principale della pellicola, catalizzando le nostre attenzioni ed emozioni in quello che è un rapporto assai più complesso e profondo, rispetto a ciò che (deve) ostenta(re) la superficie. Perché, diciamo(ci) la verità, Baumbach buca un po’ le premesse e non riesce a portare a casa esattamente ciò che aveva in mente: ovvero la drammatica parabola di un attore gigantesco, che del cinema ha contribuito a fare la Storia, ma che, all’improvviso, quando i titoli di coda della sua carriera cominciano a scorrere all’orizzonte, si rende conto che per rincorrere il successo e restargli aggrappato stretto, ha fallito come uomo (e amico), come figlio, come marito e come padre. Perciò, senza quel lavoro a impegnare le sue giornate, e a generare affetto, amore e calore, è praticamente destinato a diventare un uomo solo.
Ed è quest’incubo, allora, a mettere in moto il (suo) viaggio.
Sia quello fisico, a bordo del treno che dovrebbe portarlo dalla Francia alla Toscana (in teoria per un tributo alla carriera, ma in pratica è per seguire una figlia che ha paura di perdere) e sia quello mentale, dove (il treno de)i ricordi del passato, spesso amaro, va a ricostruire il Jay Kelly privato, egoista e subdolo, a cui ora la vita sta presentando il (salato) conto. E come in un racconto di Dickens, il tempo per rimediare agli errori, per cambiare, ammesso ci sia, appare limitato, strettissimo, ridotto quasi a un lumicino. Anzi, forse il vero punto da cogliere, qui, la vera redenzione per uno come lui è quella di imparare a fare i conti con sé stessi, con ciò che si è stati, rinunciando alle pretese e accettando il verdetto delle conseguenze, a prescindere da quelli che erano i desideri, o i capricci (o i racconti, appunto). Un'accettazione dalla natura violenta, dolorosa, di fronte alla quale però nessuno di noi ha scampo, o soluzione, se non quella della resa.
Vivere, in fondo, è un buona la prima, non è come sui set, dove puoi chiedere al regista di riprovare, di poterne fare un'altra. E se c’è una scena, infatti, in cui Baumbach trova il modo di muovere le nostre corde emotive, scaldando un film che fino a quel momento era rimasto ai limiti del freddino, è quando Jay Kelly corre dietro al taxi con dentro l’Adam Doherty di Sandler, per ammettere ciò che quest’ultimo già sapeva e sosteneva da tempo (sebbene gli venisse ripetutamente contestato e negato). Riconoscendolo come amico e famigliare stretto e non più solo come l’agente a cui versare il 15% dei suoi cachet: e rinunciando, di fatto, alla finzione a cui correva dietro.
E quando accade, è come se il film subisse una mutazione, come se si trasformasse nella loro storia, riordinando le idee e rimescolando buona parte delle premesse. Confermando un fuori fuoco generale, ma conservando pure tratti di gradevolezza.
E quando accade, è come se il film subisse una mutazione, come se si trasformasse nella loro storia, riordinando le idee e rimescolando buona parte delle premesse. Confermando un fuori fuoco generale, ma conservando pure tratti di gradevolezza.
Trailer:


Commenti
Posta un commento