Knives Out: Wake Up Dead Man - La Recensione

Wake Up Dead Man Poster Ita

L’excursus di Rian Johnson attorno al whodunit si arricchisce ulteriormente con un nuovo capitolo di “Knives Out”. Un franchise che conferma di avere come prerogativa quella di esplorare il genere giallo a tutto tondo per analizzarlo, approfondirlo ed esaltarne sfumature e potenzialità. Così, dopo “Cena Con Delitto” e “Glass Onion”, assai diversi tra loro nella costruzione, esecuzione e intenti, ecco arrivare “Wake Up Dead Man” che, pure, prende direzioni ancora differenti, seguendo le orme del sottogenere ribattezzato “delitto impossibile” o, in alternativa, enigma della camera chiusa.

In sostanza, trattasi di un omicidio avvenuto davanti a tutti i presenti – spettatori compresi – e sul quale non sembra esserci stata l’ombra di alcuna mano esterna. Caso bislacco, la cui ricostruzione non può prescindere dall’intervento di uno specialista ed esperto in materia come il Benoit Blanc di Daniel Craig che, stavolta, però, deve appoggiarsi alla spalla e alle consulenze del viceparroco Jud Duplenticy – un eccellente Josh O’Connor – additato a furor di popolo come il primo sospettato. Colpa di una minaccia verbale lanciata e registrata (con uno smartphone) pochi giorni prima, dove prometteva alla vittima - il Monsignor Jefferson Wicks di un gigantesco Josh Brolin - di volerla estirpare come si fa con il cancro, opponendosi ai modi rabbiosi e violenti coi quali l’uomo era solito tenere sermoni per la sua – sempre più ristretta – comunità di fedeli. Parliamo di una figura controversa, di un leader carismatico e polarizzante, il cui verbo trascende(va) la parola di Dio, seminando odio e discriminazione, chiamando alle armi e alzando muri, esattamente come accade oggi nei comizi di molti capi di governo. Non ci vuole molto, allora, a sovrapporre sopra il profilo di Wicks quello di Donald Trump e, di conseguenza, di un America sempre più spaccata a metà, divisa e incline a mettersi sugli scudi per difendere a qualunque costo il proprio orticello. 

Wake Up Dead Man Johnson

Analogia che cambia spessore e i livelli di lettura di “Wake Up Dead Man”, facendone il capitolo più ambizioso, ma pure più pericoloso della saga. Johnson qui raddoppia la posta in palio, occupandosi del genere, e quindi del misterioso caso da risolvere – ispirato esplicitamente al romanzo Le Tre Bare di John Dickson Carr e non solo – ma senza perdere di vista la stretta attualità, intesa come la deriva di una società (e di un mondo) che nei suoi problemi, fragilità e insicurezze ha imparato a individuare un nemico (o più di uno) a cui fargliela pagare, su cui riversarsi, chiedere vendetta. Che poi è lo stesso piano su cui, inizialmente, sembra muoversi anche Jud – che è un ex pugile, peraltro – e che lo porta a mettersi in discussione come uomo e come prete (e peccatore), apparendo spesso fuori luogo, impacciato e ormai destinato (forse) ad arrendersi all’evidenza e ai riverberi della sua indole. Quella assai più complessa e profonda che il Blanc di Craig – non credente, eppure illuminato sulla via di Damasco – lo aiuta a ritrovare, scavando a fondo tra gli enigmi e razionalizzando tra i miracoli, così da ricostruire ordinatamente fatti che sceglie, tuttavia, di non rivelare nel suo attesissimo one-man-show, lasciando all’assassino l’opportunità di confessarsi e di chiedere perdono (l’assoluzione).

Tutto torna, insomma, e cosa più importante, tutto è perfettamente equilibrato, sensato e coerente. Forse realizza il capitolo migliore del suo franchise (cast compreso), Johnson, lanciandosi in un carpiato che, magari, giunti a questo punto era persino doveroso, ma per nulla scontato, o imposto. Due ore e venti che scorrono via come sangue da un cadavere e che sanno alternare mistero, risate, (serie) riflessioni e (splendidi) what the fuck. Chiunque pensi di poter offrire di più, si faccia avanti.

Trailer:

Commenti