[Fuori Concorso] Che Strano Chiamarsi Federico - La Recensione

A metà tra documentario e biopic Ettore Scola racconta Federico Fellini in quello che emerge molto come un malinconico e spirituale abbraccio d’amicizia tra due grandi amici allontanati dal tempo.

Ripercorre la vita del regista de “La Dolce Vita” dagli esordi “Che Strano Chiamarsi Federico”, da quando arrivato a Roma giovanissimo, Fellini, cerca e trova lavoro come disegnatore presso il giornale satirico italiano Marc’Aurelio, frequentato all’epoca dai migliori sceneggiatori e autori del panorama italiano e trampolino di lancio di moltissimi talenti che desideravano imporsi per creatività e capacità di espressione, non ultimo proprio Scola. Mette a fuoco l’amicizia strettissima tra i due autori formatasi negli anni, che ciclicamente li riuniva ogni sera intorno al tavolino di un bar del centro e li faceva vagare in giro per la città alla ricerca di contatti con gente più improbabile: persone comuni, prostitute, vagabondi. Da quel girovagare i due trovavano gli spunti per la creazione di storie, personaggi, battute e situazioni che poi inserivano nei loro capolavori cucite addosso ai giganteschi attori Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.

Dal tocco che utilizza è palese che Scola voglia provare la sensazione tornare accanto al suo fedele amico Federico ancora una volta, che voglia rievocare i momenti passati rimasti tatuati nello stomaco, e non appena ha la possibilità si inserisce nella pellicola e ricostruisce nella finzione (utilizzando altri attori) ricordi, parole e aneddoti. Si serve di un teatro di posa e del green screen per avere a disposizione strade, luoghi e vicoli, ricostruisce il lontano passato utilizzando i semplici mezzi del presente, con l'intenzione di imprimerlo per averlo a portata di mano ogni qual volta ne sentisse il bisogno. E' qui che la malinconia di fondo del suo lavoro si espande dalla pellicola e riempie la sala avvolgendo il pubblico, spinta da un ritratto scolpito in maniera affettuosa e sincera, divertente e nostalgica che scende leggermente in una retorica forse schivabile ma comunque leale.

Ma "Che Strano Chiamarsi Federico" non si dimentica neppure di essere omaggio totale della figura che sta narrando, per cui, oltre alla parentesi che lo riguarda più da vicino - e a cui più tiene - Scola aggiunge anche i contorni privati di una personalità colossale, amata incondizionatamente, sia dentro che fuori dal mondo dello spettacolo. Tratteggia Fellini attraverso i suoi famosissimi titoli, spolvera facciate di un uomo apparentemente ambiguo perché instancabile sognatore, e apre e chiude il suo omaggio proiettandosi tra le giostre oniriche di un adulto mai cresciuto veramente che nell’immaturità sapeva trovare parole e idee per stupire e spiazzare.

E' a quel punto che l'anima di Federico torna veramente sulla terra, saluta il pubblico, si prende l'applauso, prima di andare ad abbracciare commosso l'amico più caro, Ettore, il quale dopo aver ricambiato gli sussurra all'orecchio le parole di gratitudine migliori che si possono spendere per un amico speciale. Un amico come Fellini.

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