La Gelosia - La Recensione

S’intitola “La Gelosia” l’ultima fatica di Philippe Garrel, titolo che poco s'addice, in realtà, alla sua opera, dal momento in cui il regista ha intenzione di affrontare il tema dell’amore e dei sentimenti in maniera totale e non solo da una sfumatura intravista da una piccola finestra.

C’è anche la gelosia perciò nel suo film, eccome, ma accompagnata dall'abbandono, dalla passione, dal tradimento e dall'amore. Una girandola di emozioni che potrebbero essere riassunte come una traversata che passa dal Paradiso, al Purgatorio, all'Inferno, per fermarsi poi in un limbo meno netto e definito dei precedenti, ma con parvenze di stabilità ed equilibrio. In fin dei conti la causa di tutti i mali dei personaggi coinvolti nella sua pellicola è il non saper di preciso dove andare e cosa volere, cosa che li costringe a compiere degli atti illogici, che devastano la realtà sia loro che di chi li circonda.

Avanzando fedele con la scelta stilistica di un bianco e nero che in qualche modo rispecchia le vite sbiadite dei personaggi sperduti e indecisi che narra, Garrel parla ed espone le conseguenze della confusione sentimentale che ha avvelenato oggi un'intera società, portandola ad essere incapace di amare e di esser fedele come una volta, quando, pur con difficoltà, le idee erano più chiare. Pone l’accento su quanto insignificanti e immature siano le cause che rovinano le storie d’amore (e di passione), andando a toccare anche tasti più dolenti come sicurezza del denaro e incapacità di comprendere i momenti in cui è doveroso smettere di sognare. Si sofferma quindi su quello che, secondo lui, è rimasto unico amore sincero e prezioso da proteggere, ovvero quello per i figli, e si serve di una ragazzina spigliata e assai più sveglia dei suoi genitori e degli adulti con cui entra in contatto, per rimarcare quanto sia diventato questo il frutto più importante da reclamare a un amore.

Sebbene la fotografia scattata sia condivisibile se non addirittura fulminante, bisogna dire che comunque né “La Gelosia” c’è più di qualcosina a zoppicare e ad arrancare. La marcia spossata con cui Garrel schiaccia un equilibrio, per buona parte accettabile, deviandolo forzatamente verso la lentezza flemmatica del dramma assoluto non aiuta a sostenere fino alla fine nemmeno la durata “breve” dei settantasette minuti. Si lascia cadere con i suoi personaggi nei labirinti della disperazione, appesantendosi e appesantendo, sciupando un lavoro che, complessivamente, portava con sé uno spirito attuale e appuntito.

Diviso in due capitoli, non c’è da stupirsi dunque se l'opera di Garrel bacchetti maggiormente per intenzioni che per concretezza. Segnala palpiti di buon cinema ma poi lo molla scioccamente andandosene verso altre sponde, guidato - pensiamo - da un cuore troppo avaro ed insicuro per battere costante e fedele l'amore per la causa.

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