[In Concorso] Parkland - La Recensione

L’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy è uno di quei fatti di cronaca che l’America al cinema ha ricostruito e inserito quasi sotto ogni forma di visuale possibile, trattato in lungo in largo, da (molto) lontano e da (molto) vicino, largamente insomma. Era normale chiedersi allora cos’altro avesse da aggiungere sull’argomento Peter Landesman con il suo “Parkland”, esordio alla regia ispirato al libro Reclaiming History: The Assassination of President John F. Kennedy, scritto dall’ex procuratore Vincent Bugliosi.

La risposta chiaramente è niente.
Il punto di vista è quello delle persone comuni che hanno assistito alla tragedia in tempo reale, tra euforia del momento e crudeltà del crimine. Comincia da Dallas “Parkland”, dall’arrivo di Kennedy nella cittadina e dal fervore degli abitanti nel vederlo passare per la via con la sua limousine. Poi l’attentato, i medici dell’ospedale chiamati a evitare il peggio, infine la disperazione comune di chi non è riuscito a compiere il miracolo e di chi fatica a credere all’episodio.

Ma stranamente Landesman riesce in un impresa più ardua, inverosimile: fa dimenticare totalmente l’inutilità della sua operazione con un uso di retorica esageratamente stucchevole e di stampo romanzesco-casalingo. Trasforma la sua pellicola in un trattato patriottico, dove ogni personaggio ha il suo momento drammatico in cui esprimere disperazione e l'arringa di un discorsetto ad effetto prevedibile e costruito per commuovere. Ci tiene a mantenere la coralità del cast, ad esaltare l’attaccamento di un popolo alla nazione, restando talmente aggrappato a questi scialbi elementi da lasciarsi sfuggire, forse, quello più interessante che avrebbe potuto quantomeno farlo cadere in piedi.

Poteva infatti concentrarsi sulla famiglia dell’assassino Lee Harvey Oswald, accusato ma non ancora condannato, poteva approfondire il discorso sugli avvertimenti ricevuti dal fratello di cambiare cognome e città (se non addirittura nazione) poiché dopo le azioni commesse la sua famiglia avrebbe senz’altro faticato ad essere riconosciuta e accettata in patria. Poteva approfondire la figura della madre e degli evidenti segni di squilibrio o l'accettazione di chi mai si sarebbe aspettato di vedere il sangue del suo sangue coinvolto nell'uccisione della persona più importante al mondo.

Poteva battere altre strade quindi "Parkland" e invece procede verso la sua fissazione, cerca la tristezza e i pianti di chi ha filmato un evento che vorrebbe dimenticare, di chi è convinto che avrebbe potuto sventare la tragedia, di chi ce l'ha messa tutta e non ha potuto, somigliando sempre di più ad un lavoro televisivo di categoria medio-bassa e ordinato magari per celebrare un avvenimento che ha realmente sconvolto un popolo e una nazione. In maniera sentita però, non così terribilmente impostata.

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