Una Piccola Impresa Meridionale - La Recensione

L'ascesa autoriale di Rocco Papaleo nel cinema italiano si è concretizzata nell'esatto istante in cui l'attore ha deciso di fondare la sua impronta stilistica sulla celebrazione di storie popolari, minime, genuine; differenziandosi nettamente dai prodotti omologati e industriali distribuiti in quantità massicce all'interno di quello che ormai per noi rappresenta il panorama di un industria in crisi e allo sfacelo.

Per fortuna da "Basilicata Coast to Coast" a "Una Piccola Impresa Meridionale" questa impronta non è cambiata, anzi, si riaffaccia incantevole e pulita come chi non ha assolutamente intenzione di cedere al sistema per assicurarsi un uscita di emergenza in caso di incendio improvviso. Ciò che non si è riuscito ad evitare però è il comune ragionamento, non propriamente logico, secondo il quale a seguito di un successo commerciale bisogna sempre ingrandirsi e fare il passo più lungo del precedente, movimento che nella situazione in questione opprime la scioltezza di chi, probabilmente, ancora non conosce i limiti della proprie capacità. La forza del cuore che fino a questo momento aveva contribuito a reggere stabile Rocco Papaleo elevandolo oltre quelle che potevano essere sia le sue che le nostre aspettative, nella sua seconda opera infatti perde sia pulsazioni che naturalezza vantati al principio, manipolate a tratti da tentennamenti narrativi che gelano quella che poteva essere sulla carta addirittura una pellicola più calda e sensibile della precedente.

Eppure, che sia in forma diversa, "Una Piccola Impresa Meridionale" mantiene saldo il profilo seducente del viaggio, anche se non più inteso come quello intramontabile on the road ma come quello di una crescita personale attraversata da fermi, immobili, intrapresa da ognuno dei personaggi durante il periodo vissuto nella casa al faro in cui il protagonista interpretato da Papaleo - un prete spretato - in solitudine si rifugia sostenuto dalle preoccupazioni di una madre dalla mentalità ristretta e innervosita dalle chiacchiere che il fallimento dichiarato dal figlio potrebbero generarsi tra gli abitanti del paese. La pellicola tuttavia non si ferma qui, osa, e osa molto, andando a cucire su ogni co-protagonista caratteristiche inclini a renderlo una possibile minaccia d'integrazione per la società moderna: amore omosessuale, matrimoni di copertura, figlie lontani dalle loro madri che vagano in camper cresciute da coppie di uomini stravaganti, escort in pensione. Il tentativo è quello di imprimere il promemoria che non per forza diverso è sinonimo di sbagliato, sforzo che nella sua incompiutezza, fatica e non impeccabile scrittura di sceneggiatura pure riesce parzialmente, con la riserva di non applicare alcun segno indelebile che sappia trattenersi oltre quella che è la durata della visione.

Un primo ostacolo da superare dunque per il Papaleo regista - che da attore procede esperto invece la sua marcia serena e piacevole (qui superato però da una bravissima Giuliana Lojodice) - pecca duro di ambiziosità la sua seconda creatura, e per quanto sia una negligenza perdonabile non va assolutamente né trascurata né ignorata. Fa tutto parte degli errori di un mestiere in cui è entrato ufficialmente nel vivo, già portavoce di grane da rispedire al mittente e di domande e confini da superare (oppure no) e archiviare velocemente.
Qualsiasi cosa insomma, purché non ci si lasci sfuggire la situazione di mano una seconda volta, dato che perdere un cinema come il suo sarebbe davvero un peccato.

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