Dietro i Candelabri - La Recensione

Doveva essere la pellicola che avrebbe chiuso i rapporti tra Soderbergh e la regia, "Dietro i Candelabri", parliamo al passato perché pare che il regista abbia fatto marcia indietro e ora voglia proseguire - seppur con intensità minore - il mestiere che l'ha portato a togliersi ricchissime soddisfazioni personali. Ma a prescindere da cosa rappresenti per il poliedrico Steven l'apparente biopic dedicato all'eccentrico e vanitoso pianista Liberace, la cosa che più ci interessa è constatare che - finale o proseguo - la sua cinematografia non smette mai di destare curiosità e, cosa fondamentale, di spingersi sempre oltre quel che ha già catturato.

Ha posto l'occhio critico su molteplici argomenti infatti Steven Soderbergh nella sua scalata filmografica, andando avanti senza mai adagiarsi o guardarsi alle spalle, molto spesso imbrogliando lo spettatore, usando per le sue pellicole confezioni appositamente studiate per adescarlo attraverso il racconto di qualcosa che puntualmente andava a rovesciarsi in tutt'altra analisi. E identica è la formula utilizzata anche per "Dietro i Candelabri" che anziché seguire fedele, freddo e rigido la vita del suo altezzoso protagonista, si sofferma sulle manie di grandezza scatenate dal successo e sulle conseguenze che questo provoca a contatto con ulteriori personalità, le quali, entrandone in contatto, si lasciano ammaliare, comprare e possedere da esso. La relazione omosessuale tra il Liberace di Michael Douglas e lo Scott Thorson di Matt Damon allora pur avendo un suo contorno tangibile di autenticità (al principio e al traguardo) va a fondarsi prevalentemente sull'abbaglio e sul controllo di chi vanta la potenza, a volte estrema, del carico della moneta, linguaggio che permette a chiunque lo pratichi di modellare a proprio piacimento la realtà ottenendo risultati fuori da ogni immaginazione.

Ci proietta in un mondo sfarzoso e kitch, il regista statunitense, curando con estremo interesse estetica di arredamento, vestiti, luci e particolari. Plasma fisicità e volti dei suoi attori e approfondisce il concetto di apparenza smascherandolo come promette nel titolo che ha attribuito al film. Così "Dietro i Candelabri" diventa, appunto, uno sguardo generico e assoluto sul fasto ricercato dalle celebrità - Liberace non pare poi troppo distante dal quella che oggi potrebbe essere la Lady Gaga di turno - e bistratta lo strato superficiale di solito bramato con invidia da chi non è in grado di arrivare laddove a subentrare c'è il disgusto e la pochezza di un'esistenza alternativa attaccata da solitudini, paure e rifiuto di accettare l'incedere di una vita che per quanto privilegiata e al massimo non lasci scampo all'età e alla vecchiaia.

Tempo non ce n'è insomma per indugiare a discutere di omosessualità e di una società che, specie negli anni '70 e '80 - epoca in cui la pellicola è ambientata - guardava con ulteriore scandalo al diverso, come non c'è neppure lo spazio per affrontare il tema dell'AIDS, ma ciò non è un male, anzi, mette in condizione Soderbergh di non perdersi in trattati distanti dal suo pensiero, già stilati e consumati . Letto come una chiusura, quindi, "Dietro i Candelabri" sarebbe un lavoro metodico e poco effervescente, ma letto come continuazione di un idea, invece, ha il sapore coerente di chi della teoria di guardare avanti ne ha fatto filosofia e credo.

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