Thor: The Dark World - La Recensione

Per fare peggio del primo bisognava mettersi d'impegno, per cui ad Alan Taylor - sembrerà utopistico dirlo - spettava una sfida assai meno ardua di quella intrapresa da Branagh. Lui comunque non si è lasciato né travolgere e né si è messo sugli allori, l'ha affrontata seriamente, andando oltre quello che poteva essere il compitino di routine di una puntata televisiva - territorio da cui deriva - e portando a casa un secondo capitolo che del Dio del Tuono fa finalmente un super-eroe degno di nota.

Capitare alla Marvel post-Joss Whedon di certo lo ha aiutato moltissimo, lo zampino dello sceneggiatore/regista di "The Avengers" in "Thor: The Dark World" c'è, ed è anche bello pesante, ma indispensabile per non perdere quello spirito ironico che inizialmente aveva contraddistinto solamente il personaggio di Tony Stark in "Iron Man" e che ora, invece, è distribuito equamente su tutto il raggio d'azione. Abbiamo quindi a che fare con una sceneggiatura nuovamente epica ma allo stesso tempo essenziale, che non si priva dell'intrattenimento ma che sa diffonderlo con meno confusione e meno difficoltà, che ha capito di non poter poggiare esclusivamente sul suo personaggio eccellente e che quindi sfrutta assai meglio (forse al massimo?) le capacità, le possibilità e la versatilità di un'antagonista magnifico come Loki interpretato da un attore altrettanto geniale come Tom Hiddleston.

Redarguito, imprigionato e dimenticato dopo gli eventi di New York, il fratellastro adottato, riconosciuto figlio di Odino, viene richiamato allora ad un patto d'alleanza da Thor stesso per affrontare la minaccia di turno che, come da previsione, risulta peggiore delle precedenti e che, spinta da esigenze di casting, è collegata ancora alla terra e alla Jane Foster di Natalie Portman, che in questo modo trova la via per uscire dalla depressione sentimentale in cui era entrata da quando il suo divino fusto l'aveva abbandonata. L'asse vendicativa costruita col tradimento ai danni di Asgard va a rappresentare così il picco umoristico e drammatico più alto che questo secondo capitolo riesce a mettere in piedi, offre la possibilità a Loki di redimersi parzialmente della distruzione causata dalla sua ultima uscita e contemporaneamente lo consacra mattatore del franchise affidandogli lo scettro del divertimento che senza problemi accetta usandolo come meglio non si potrebbe chiedere.

Per certi versi la spina dorsale di questa seconda avventura, scritta a sei mani da Christopher Yost, Christopher Markus e Stephen McFeely, ricorda allora molto da vicino quelle che erano le linee guida proprio di "The Avengers": c'è la minaccia, lo spargimento di sangue innocente che stimola vendetta, l'alleanza e la classica battagliona finale. Sicuramente ciò non la fa brillare per originalità ed ingegno ma senza dubbio esalta al massimo le caratteristiche di chi, per accelerare l'entrata in scena dei Vendicatori, in passato era stato inoltrato in fretta e furia rimanendo penalizzato insieme al suo partner Captain America (di cui avremo qui un'apparizione davvero speciale).

Direttamente dal piccolo schermo Alan Taylor bagna quindi il suo esordio cinematografico da operaio munito però di ottima personalità, non getta alle ortiche la sua occasione e, dopo l'inarrivabile "Iron Man 3", mantiene alta una fase-due Marvel che pare aver intercettato il giusto vento in poppa per conquistare la meta, qualunque essa sia.
Tuttavia, va detto, l'utilizzo di maggior coraggio non sarebbe stato disprezzato, pertanto, dopo la grande commozione stimolata nella parte centrale, il ritorno in scena di "qualcuno" poteva sicuramente essere evitato e custodito per un futuro ipotetico.
Ma sta di fatto che a prescindere dai puntini sulle i che sottolineiamo, se la Marvel sarà in grado di mantenere questi standard realizzativi il divertimento per noi e il successo per loro si conserveranno a lungo duraturi e incontrastati.

P.S.: Il rito della scena dopo i titoli di coda stavolta è raddoppiato.

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