Colpi di Fortuna - La Recensione

Rottamato ufficialmente il redditizio franchise di "Natale a...", Aurelio De Laurentiis, promuove il successo di "Colpi di Fulmine," e rilancia quello che un tempo era denominato cinepanettone con un sostituto più scaltro e meno rischioso, assai più digeribile del precedente.

A ricevere il premio infatti, fondamentalmente, è la formula adottata un anno fa, quella che ha mandato in pensione la trama unica intrecciata dai personaggi, ed ha assunto - in questo caso - a tempo determinato l'alternanza di vari episodi scissi tra loro e pronti a darsi la staffetta pur non avendo nulla in comune se non la missione unica di provare a far divertire lo spettatore a suon di risate. Se in trent'anni di attività però lo stimolo della battuta veniva quantomeno ricercato con sforzo, a volte leale a volte meno, l'impressione che si ha oggi guardando "Colpi di Fortuna" è quella di un prodotto stanco e scarico ma che tuttavia deve continuare ad esistere solo perché in grado, storicamente, di essersi guadagnato il merito di far parte della tradizione cinematografica natalizia italiana. Perché con un minimo di onestà, un produttore comprensivo e un cast dai nomi meno popolari, non ci sarebbero proprio i minimi estremi per andare a girare una sceneggiatura riciclata e scontata come quella affidata su commissione al fido mestierante Neri Parenti.

L'esplosività con cui avevano esordito Lillo & Greg in "Colpi di Fulmine", e che aveva fatto ben sperare, resta allora un suggerimento disperso nell'aria, non solo, forse viene interpretato addirittura al contrario, riducendo di qualche decina di minuti il loro supporto alla pellicola e costringendoli ad una corsa alla consistenza che pur provando ad accettare non possono vincere in nessun caso (nonostante il loro sketch rimanga il più interessante dei tre). Invece di lasciare la palla perciò ad un tipo di comicità nuova e funzionante si torna quindi alla vecchia tendenza di strappare biglietti tramite l'arruolamento di comici prevalentemente derivati dalla sfera televisiva, accorciando lo spazio di chi era presente, ma allargando la fetta di richiamo con una lunghissima forbice aperta da nord fino a sud. Le risate e le battute purtroppo sono le uniche a non venir scritturate, entrambe mancano all'appello per cedere il posto alla banalità e alla noia, due stati ingombranti abbastanza da venir percepiti persino dall'appassionato più testardo e convinto del genere.

Che si fosse arrivati al capolinea era un presentimento che circolava ormai da anni, insomma, ma a quanto pare fare altre fermate era ordine obbligatorio da percorso. Il problema è che adesso il treno fatica sia ad accendersi che ad andare avanti, e spingere tonnellate di ferro, a forza sulle rotaie, non si sa quanto possa essere scelta logica e conveniente.
Ma l'ultima parola spetta comunque a De Laurentiis.

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