Le Week-End - La Recensione

Al contrario di quanto si potrebbe intuire per via di mani e tendenza, in "Le Week-End" la terza età non è strumento utilizzato in modo leggero per far ridere lo spettatore. Non lo è per intenzioni, ma soprattutto non lo è per rispetto.
La terza età comunque centra, anzi, è il centro della pellicola diretta da Roger Mitchell, che parte appunto dal festeggiamento del trentesimo anniversario di matrimonio di un'anziana coppia in viaggio a Parigi per piegarsi pacatamente alla loro crisi sentimentale ed esistenziale.

Serio quindi è il tocco del regista britannico, che anziché mirare al facile divertimento (e con Jim Broadbent al timone ci sarebbe riuscito in pochissimi sforzi) sposta l'ago della bilancia verso quello spicchio d'anzianità irrequieta e pulsante, che da una parte è disposta ad accontentarsi, ma dall'altra vorrebbe invece non smettere mai di guardare avanti. Ecco allora Nick e Meg, tanto vicini quanto distanti, tanto innamorati quanto smarriti. Lui, comprata casa al figlio e licenziato dal ruolo di insegnante, si aggrappa stretto alla moglie e al suo matrimonio come ultima spiaggia nonché ancora di salvezza. Lei, che non ha intenzione di piegarsi alla tirannia del tempo, respinge il marito e con rabbia, sofferenza e insoddisfazione cerca un modo qualsiasi di riscattare la libertà che gli possa consentire di progettare un futuro. Una coppia all'apparenza dolce, solida, invidiata, eppure consumata nel privato da una vecchiaia insopportabile, da cui non riesce a cavare altro che bruttezza, negatività e tristezza.

Ma proprio da quello che sembra essere materiale scottante, ostico e preferibilmente evitabile, Mitchell riesce a tirare fuori il meglio del suo lavoro, a costruirne il cuore, a generare quel battito coordinato indispensabile per fare uscire verità e commozione. Sostenuto da un Jim Broadbent straordinario e da una Lindsay Duncan algida e ostile al punto giusto "Le Week-End" non solo sa reggersi in equilibrio nonostante l'età avanzata, ma è persino capace di trarre dai suoi protagonisti performance di classe e momenti toccanti e sinceri, abilissimi a inumidire gli occhi di chi assiste. La chirurgica sceneggiatura scritta da Hanif Kureishi allora, unita al tocco e al talento esperto di Mitchell, fanno della pellicola un trattato probabilmente obiettivo su ciò che significa vivere davvero l'anzianità e su quanto sia difficilissima da sostenere e accettarne la condizione, ma allo stesso tempo i due rintracciano anche un sottile lato poetico e sensibile dell'amore eterno, innalzando una storia romantica, imperfetta, messa al tappeto e risollevata con disarmante umiltà e unità di coppia.

E' tenero e dolce "Le Week-End", lo è persino nei suoi momenti più dolorosi, quelli in cui picchia forte l'altro per poi tornare indietro a chiedere scusa. Ma lo è ancor di più quando emana piccole gioie, quelle, per esempio, di due anziani bloccati a Parigi che si fanno beffe di tutto e di tutti e improvvisano un ballo goffo e spensierato con il juke box di un bar.
Un immagine a cui bastano pochi, pochissimi istanti per spazzar via le nuvole e riportare il sereno, quel sereno silenzioso capace di suggerire la cosa più importante di tutte, e cioè che forse, il bello della terza età, sta proprio nell'essere liberi, privi di catene, sta proprio nel non doversi preoccupare di fare dannati progetti.

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