I Mercenari 3: The Expendables - La Recensione

Per loro è di vitale importanza. Darsele di santa ragione e recitare sono sullo stesso piano. Due facce della stessa medaglia alla quale non rinuncerebbero mai, neppure sotto tortura. Disposti a sottostare persino alle regole pur di restare nel giro, regole che avevano temporaneamente eliminato ma che adesso invece tornano più ferree che mai.

Già, ne "I Mercenari 3: The Expendables" le regole ci sono eccome, non tutte magari - quelle di gravità un po' meno - ma il discorso di Stallone al suo fedele team riguardo la loro appartenenza al passato e l'impossibilità di avere un futuro ha un senso logico che va ben oltre la trama. Niente Chuck Norris e sicurezza nella vecchia scuola, dunque, fine dei giochi, come nel primo capitolo si torna a fare sul serio. Qualche battuta è ammessa, per carità: al Wesley Snipes liberato da una prigionia devi far dire per forza che era dentro per un problema legato alle tasse. Però il gioco torna a farsi duro, troppo forse, ricalcando la struttura meno funzionante che aveva avvolto il primo capitolo e che molto meno aveva convinto. Almeno da queste parti.
La certezza, però, è che in questo terzo - probabilmente non ultimo - capitolo della saga ideata da Sylvester Stallone le cose appaiano ben più nette rispetto al passato, per cui la convinzione di un lavoro meno riuscito non sarà di pochi, bensì di molti, coadiuvata da una durata insostenibile che supera le due ore obiettivamente senza alcuna ragione. 

Spesso, quando c'è di mezzo l'argomento fan, si dice che l'unico modo per fare meglio e accontentare tutti sia quello mettere in scena lo stesso spettacolo rincarando la dose. Di questa teoria I Mercenari vogliono farne Bibbia, abusandone a dismisura e distruggendo praticamente ogni cosa, a tempo di record, incoraggiando così lo spettacolo ma perdendo molto sotto l'aspetto del divertimento. Esplosioni, spari, bombe. Solo nei primi venticinque minuti, la pellicola sfoga una sequenza d'azione infinita ed estrema, in cui a dare spettacolo pirotecnico sono elicotteri, treni e palazzi, ed è solo l'inizio. La situazione, chiaramente, è destinata ad assumere forme ancora maggiori che tuttavia non prevedono di dare tanto spazio a quell'autoironia che aveva fatto la fortuna e rivoluzionato il primo sequel. Nonostante le new entry di Harrison Ford, Wesley Snipes e Mel Gibson, e le possibilità infinite di tirare fuori dalle loro filmografie momenti esilaranti di medio-alto livello, la pellicola pende più ad immergersi nel testosterone, facendone una mortale overdose e autolesionandosi masochisticamente.

Allora ci viene da pensare che proprio chiaro il nostro caro Stallone ancora non riesca a vedere (sarà l'età?), o che forse pensava che bastasse assoldare un po' di carne fresca da aggiungere a quella vecchia per ritentare il colpaccio e vincere ai punti. Il confronto tra vecchia e nuova scuola che instaura il suo lavoro però è troppo semplice, inutile quasi, se separato tra giovani hacker da una parte e vecchi bisonti dall'altra, entrambi bravi a picchiare duro. Tutto appare gettato via troppo velocemente, sfiancando lo spettatore che si ritroverà ad uscire dalla sala a fine proiezione con un pugno di mosche in mano e un leggero mal di testa.

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