Tutto Può Accadere A Broadway - La Recensione


E' una commedia degli equivoci piuttosto semplice e furba quella che segna il ritorno del regista Peter Bogdanovich. Un canovaccio forzato appositamente per strappare risate coadiuvato da un'atmosfera surreale che tutto rende credibile e soprattutto possibile.

Intento, il suo, tendenzialmente apprezzabile e sincero, dove la leggerezza e la tenerezza dei personaggi prende il sopravvento, trascinando il pubblico a fare il tifo per tutti, accettando e avallando la credibilità sospetta che aleggia fissa nella farsa. Non è un caso, dunque, che la costruzione di "Tutto Può Accadere A Broadway" risulti di origine molto teatrale, e che il teatro entri a far parte della scena anche proprio come luogo: con il casting di una rappresentazione che funge da miccia, collegata a sua volta a vari (micro)esplosivi pronti ad esplodere ad effetto domino. Bogdanovich punta molto sul dinamismo del suo cast e lascia spesso che siano loro a dare movimento alla scena, piazzandoli dentro di essa e fornendogli solo il pretesto, il punto di partenza. E' il principio certificato per dar luogo a situazioni senza dubbio ironiche e imbarazzanti, simpatiche più che divertenti, che sicuramente bastano a far abbozzare un sorriso ma che faticano molto quando l'intento diventa quello di voler rubare un intera risata.

Simile a una commedia sbiadita di Woody Allen - e non è detto che il regista non volesse addirittura prenderne spunto - la pellicola si lascia spesso andare in citazioni e riferimenti saccheggiati da altre opere cult del cinema o a dialoghi pseudo-romantici a cui aggiunge spruzzate di umorismo british e lo strapazzamento di stereotipi certificati (vedi la psichiatra di Jennifer Aniston). Va detto però che un impianto simile a quello usato da "Tutto Può Accadere A Broadway", per quanto furbo e racimolante, vuoi o non vuoi, rischia di scatenare attimi di torpore e di stanchezza. In questi casi, quando la celestiale visione di Imogen Poots si prende una pausa, o le espressioni strampalate di Rhys Ifans iniziano a faticare, la narrazione inevitabilmente è costretta a sedersi sulle sue gambe, restando in attesa che qualche altro caos o partecipazione eccellente (come quella di Quentin Tarantino) percuota nuovamente il ritmo, ricominciando le danze.

E quindi si sorride, si, generosamente, ma senza mai credere davvero fino in fondo a ciò che accade avanti ai nostri occhi. Lo si fa un po' per cortesia e un po' per sfogo, visto che l'intento di creare una pellicola ricreativa e rigenerante, in certi casi, è anche necessario e piacevole. Quello di Bogdanovich allora è paragonabile a un film-aperitivo, uno di quelli che risulta perfetto quando è il momento di staccare la spina e disimpegnare il cervello.

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